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 ORAZIO COSTA, "L'ESSERE" DEL TEATRO


 Una vita consacrata all'arte della recitazione. All'insegnamento dell'arte della recitazione, formando una generazione di attori destinati a dominare le scene fin dal Dopoguerra. Orazio Costa compì una piccola rivoluzione nel teatro. Una rivoluzione frutto di una passione viscerale per il palcoscenico, nutrita fin da bambino - era nato, a Roma, il 6 agosto 1911 - e coltivata grazie a due suoi grandi maestri: Silvio D'Amico, docente della Regia scuola di recitazione  Eleonora Duse di Roma, divenuta Accademia nazionale d'arte drammatica proprio quando Costa iniziò il suo percorso di formazione da regista, e del drammaturgo Jacques Copeau, con cui lavorò a lungo a Parigi. 



Dai suoi mentori, Orazio Costa apprese un modo nuovo di insegnare l'Arte. La capacità di immedesimazione nei testi attraverso l'esercitazione del corpo e dell'animo umano a interpretare ciò che ci circonda. Nel 1944, dopo aver diretto alcune compagnie teatrali, Costa iniziò ad insegnare all'Accademia d'arte drammatica, dove nel corso degli anni formò tra i più grandi attori del secolo scorso: da Nino Manfredi a Vittorio Gassman, da Tino Buazzelli a Gian Maria Volonté, da Luca Ronconi a Giancarlo Sbragia. Tutti interpreti di rilievo (alcuni anche registi) sia del palcoscenico che del grande schermo. Attori in grado di calarsi totalmente nel personaggio, in anima e corpo, grazie a quel metodo "mimico" creato proprio da Costa. Il regista, infatti,  maturò l'idea di una educazione pedagogica dell'attore, attraverso la formazione in primis dell'uomo. Un metodo volto soprattutto alla liberazione dell'individuo dai propri complessi, attraverso una completa immedesimazione nel mondo circostante e nei suoi elementi (animali, piante, oggetti animati e non) che lo portò ad estendere i suoi insegnamenti non solo agli attori ma a chiunque ne avesse bisogno (adulti, bambini, soggetti fragili) con la creazione, nel 1979, del Centro di avviamento all'espressione a Firenze, città dove trascorse l'ultima parte della sua vita, vissuta quasi pienamente avanti e dietro le quinte del Teatro della Pergola.

Ma il risultato del lavoro di Costa emerge soprattutto dalla sconfinata produzione di opere (oltre duecento), passando con disinvoltura da Shakespeare a Pirandello, da Euripide a Cechov, mettendo in scena personaggi e storie noti e meno noti, visti sotto una luce diversa. Con un riflettore non più puntato sul regista o sull'attore, ma sul teatro in senso più ampio. La sua idea, custodita gelosamente e tramandata ai suoi allievi fino alla sua scomparsa - avvenuta il 14 novembre 1999 -, era quella di essere al servizio dell'Arte. Al centro delle sue rappresentazioni non c'è mai stato per lui né il regista, né l'attore, bensì "l'essere" del teatro, alla cui massima espressione questi dovevano semplicemente collaborare.

Una vera rivoluzione che, a centodieci anni dalla sua nascita,  ritenevo opportuno raccontare. Perché ricordare Orazio Costa non significa soltanto rendere onore ad uno dei pionieri del teatro nazionale del Dopoguerra, formatore dei più grandi artisti italiani. Ma soprattutto significa ricordare l'interprete della pura essenza dell'arte del palcoscenico.

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