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 GIUSEPPE SALVIA: LA COSA GIUSTA


No, non voleva diventare un eroe. Sicuramente non ci aveva neanche mai pensato. Giuseppe Salvia faceva semplicemente il suo dovere. Era il vicedirettore del carcere di Poggioreale, e il suo compito era quello di far rispettare le regole ai detenuti, qualunque essi fossero. Anche 'O Professore era un detenuto come tutti gli altri. Certo, il peggiore, il più sanguinario. Ma "la legge è uguale per tutti", come sta scritto in qualsiasi aula di tribunale. Ed era uguale anche per uno come lui.




Salvia, la legge, l'aveva studiata. Arrivato ancora ragazzino a Napoli da Capri - dove era nato il 23 gennaio 1943 -, aveva atteso agli studi classici in collegio, per poi iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza. Poi vinse il concorso come vicedirettore penitenziario e nel 1973 eccolo arrivare a Poggioreale, in anni complicati.

Quando la Nuova Camorra Organizzata, capeggiata proprio da 'O Professore, Raffaele Cutolo, seminava morte e terrore per le strade della città. Cutolo, però, era ormai "al fresco", nonostante riuscisse a muovere le sue pedine anche da dietro le sbarre.

Salvia lo sapeva, come sapeva bene che perfino gli agenti di custodia avevano paura di lui. E probabilmente anch'egli, come ogni essere umano. Ma sapeva anche che il suo compito era quello di far rispettare la legge. Per questo, quando nel novembre del 1980, rientrando da una udienza in tribunale, 'O Professore rifiutò di farsi perquisire - come prassi prevede -, davanti alla titubanza dei secondini, che temevano ripercussioni sui propri cari, Salvia non esitò ad eseguire personalmente il controllo. Il suo volto era di quanto più comune potesse esserci: lineare, coi capelli sistemati con la riga da un lato, gli occhi seri ed onesti dietro un paio di spesse lenti, sopra il sorriso mesto. Che Giuseppe Salvia fosse una persona perbene glielo si leggeva in faccia, ma era soprattutto un onesto funzionario dello Stato. E lo Stato e le sue leggi vanno rispettate. Anche 'O Prufessore, però, aveva le sue leggi, frutto di una perversa logica di vita. Tentò anche di schiaffeggiarlo durante la perquisizione, ma Salvia proseguì il suo lavoro. Tutti, però, temevano che prima o poi quello sgarro gli sarebbe costato caro.

Pochi mesi dopo, infatti, la sera del 14 aprile 1981, la sentenza arrivò per mano di sei uomini che crivellarono di colpi la sua auto, una Fiat Ritmo, mentre percorreva una rampa della Tangenziale di Napoli, all'altezza dell'uscita Arenella (nel quartiere collinare del Vomero).

Sono passati quarant'anni da allora, dal momento in cui Giuseppe Salvia è diventato un eroe. Perché sì, eroi si diventa, non si sceglie di esserlo. Ma 'O Professore no, lui aveva scelto di essere un criminale. E dispiace costatare che, pochi mesi fa, al momento della sua scomparsa, con centinaia di morti sulla coscienza e ben quattro ergastoli sulle spalle (tra cui quello come mandante dell'omicidio di Salvia), siano stati in troppi a salutarlo quasi con dispiacere. Certo, era vecchio, malato, ma non basta questo a cancellare con un colpo di spugna il male perpetrato a danno di innocenti. Male di cui, fino alla fine, Cutolo non si è mai pentito, fedele alla sua scelta di vita. 

D'altronde anche Giuseppe Salvia aveva fatto la sua scelta di vita, ben diversa. Aveva scelto di stare dalla parte dei buoni. Aveva scelto di far rispettare le leggi dello Stato per cui è morto, con dignità e a testa alta, con la stessa serenità con cui ha sempre guardato sua moglie e i suoi figli che, come lui, non avrebbero mai voluto che diventasse un eroe. Giuseppe Savia, però, eroe lo è diventato, forse proprio perché aveva fatto una scelta precisa: fare il proprio dovere, fare semplicemente la cosa giusta. 

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