LITTLE TONY, "PALPITO" ROCK
Il suo era matto, "matto da legare". Talmente folle da giocargli un brutto scherzo, nel 2006. Ma non al punto di portarselo via. Perché a tradirlo, non fu quel cuore che nell'Italia degli anni '60 fece palpitare migliaia di ragazzine "yé-yé" che correvano a rimpinzare di monetine i juke-box pur di sentire la sua voce. A tradire Little Tony, infatti, fu un tumore ai polmoni, che se lo portò via il 27 maggio 2013 in una clinica a Roma, sua patria d'adozione.
Perché Antonio Ciacci, per tutti "Little", era nato a pochi chilometri dalla Capitale, a Tivoli, il 9 febbraio 1941. E sebbene fosse di origini sanmarinesi (non chiese mai la cittadinanza italiana) si sentiva romano a tutti gli effetti. Il suo "cuore", invece, batteva oltreoceano, per quella musica del demonio che era il rock and roll e che negli anni '50 spopolava anche nel nostro Paese, ovattando le voci dei cantanti melodici che, di lì a poco, sarebbero stati spiazzati dagli "Urlatori". Tra questi, ci sarebbe stato anche lui, non appena capì che la musica, passione di famiglia, era la sua strada. E infatti, nel 1958 Ciacci e i suoi fratelli (tra cui il grande chitarrista Enrico Ciacci) passarono dalle trattorie dei Castelli Romani ai palcoscenici dell'Inghilterra dove divenne Little Tony - omaggio a Little Richard -, accompagnato dai suoi "Brothers" e dall' "immagine" di Elvis Presley: ciuffo lucido di brillantina, giubbotto di pelle con le frange e jeans affusolati. Stava nascendo un mito, e ben presto se ne accorsero anche in Italia, al suo rientro dai successi britannici, quando nel 1961, in coppia col "Molleggiato" Celentano, guadagnò un secondo posto al Festival di Sanremo con "24mila baci".
Da quel momento, Little Tony, sanmarinese di Tivoli, americano a Roma, divenne tra gli artisti più amati della musica leggera, con canzoni entrate nella storia nazionale e nei cuori di una intera generazione che, ancora oggi, piange ad ogni nota. Da quel "Cuore matto" a "Riderà", da "La spada nel cuore" a "La donna di picche", passando da Canzonissima al Cantagiro, dall'Italia all'America, Little Tony divenne l'emblema di una nazione spensierata. Ingenua come le romantiche storie d'amore dei "musicarelli" che anche Little Tony, come molti altri, interpretò da protagonista: casti sentimenti "intrecciati" intorno ad un 45 giri, al solo scopo di vendere qualche copia in più.
Un'Italia, insomma, che si accontentava di poco ma che aveva tanta voglia di vivere, di ballare, cantare, suonare e sentirsi giovane. Proprio come lui, che nonostante gli anni, rimase sempre uguale a se stesso, senza però mai risultare ridicolo. Come quando, nel 2003, si presentò ancora al Festival in coppia con un altro "ragazzo", Bobby Solo, con un brano il cui titolo diceva tutto: "Non si cresce mai". Solo tre anni dopo, quell'attacco di cuore ad Ottawa, in Canada, durante un concerto, che lo costrinse ad allontanarsi dalle scene. Ma soltanto due anni dopo tornò a Sanremo, ancora più grintoso di prima, con "Non finisce qui": una canzone di coraggio, di fiducia e di speranza, con uno sguardo nostalgico al passato, fatto di successi, amori, ma anche dolori. Come la prematura morte della moglie Giuliana, a causa di un tumore, nel 1993. Il "ragazzo dal ciuffo", però, era riuscito a ricominciare con la forza di sempre. Luciana, la sua seconda moglie, che visse con lui fino alla fine, e sua figlia Cristiana - avuta dalla prima moglie - furono la sua forza maggiore, anche dopo quello scherzo di un cuore un po' malandato. Fu grazie anche alla loro vicinanza se riuscì a riprendersi completamente.
Ma una fine, purtroppo, arrivò anche per lui, privandoci della sua presenza e del suo sorriso ma non della sua giovinezza e della sua musica. Perché il suo "cuore matto", quello desideroso di musica, di vita, d'amore, ha compiuto oggi ottant'anni. Continua a battere sotto il giubbotto di pelle. Continua a dare ritmo a quelle indimenticabili note entrate nell'animo di tutti noi e di un'Italia che, con tanta nostalgia, rimpiange la spensieratezza di un tempo.
Commenti
Posta un commento