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CIAO, DIEGOARMA'


Non stiamo parlando di calcio. Perché se si trattasse puramente di questo forse io sarei la persona meno adatta a parlarne. Non ho mai tifato, non sono mai stato in uno stadio e non ho mai amato il calcio. Non sono neanche mai stato "dignitoso" nelle partitelle che si fanno da ragazzi nelle ville comunali. Eppure sono qui a ricordare Diego Armando Maradona. Il motivo? Innanzitutto perché sono un appassionato di storia del secolo scorso, e lui - non me ne voglia nessuno - ne ha fatto ampiamente parte. E poi perché ho i miei natali a Napoli. Proprio lì dove il "Pibe de oro" è diventato leggenda. 




E infatti, il Maradona che voglio ricordare io non è quello del campo da gioco in senso stretto, il ragazzo prodigio uscito dall'umiltà della sua Argentina correndo dietro ad un pallone che lo ha portato lontano, tra campionati mondiali (ben quattro), ori, argenti, coppe e squadre consacrate alla storia (dagli Argentinos Juniors al Barcellona).  Quello di cui voglio parlare io è il  Diegoarma', pronunciato tutto d'un fiato nei vicoli di quella città amata e odiata, bella e maledetta, piena di contraddizioni proprio come lui. Quella Napoli che in pochissimi anni imparò ad amarlo, a venerarlo quasi come un santo.

"San Genna', non ti crucciare. Tu lo sai, ti voglio bene! Ma na finta 'e Maradona scioglie 'o sanghe dint'e vvene! E chest'è!", faceva dire a Luigino il poeta (interpretato da Gerardo Scala) il grande Luciano De Crescenzo nel suo "Il mistero di Bellavista". Il celebre scrittore e regista era lui stesso un tifoso sfegatato del Napoli calcio e sfilò per le strade della città nel 1987, quando grazie a Maradona la squadra vinse il suo primo scudetto.

Tutti, giovani e meno giovani, volevano essere come lui. Capelli scompigliati (ai mercatini rionali si vendevano anche le parrucche), orecchino all'orecchio sinistro e si provava a emularlo nei suoi straordinari palleggi, gareggiando per i vicoli e per i "quarti" alla ricerca di un 'omme del pallone come Maradona. Ma sempre con il massimo rispetto: perché il numero 10, il numero "de Dios", ce l'aveva soltanto lui.

E nonostante la sua vita personale non sia mai stata limpida (dipendenza dalla cocaina, doping, problemi giudiziari) ad un "Grande" come lui è stato sempre perdonato tutto. Perché Diegoarma' era umile, e lo è sempre rimasto, fino alla fine dei suoi giorni. Ammise le sue colpe, consapevole degli errori che aveva fatto e che in qualche modo avevano anche condizionato la sua esistenza.

Proprio la semplicità, il suo essere rimasto quel giovane ragazzotto argentino che sognava la gloria, ha fatto sì che il suo talento riuscisse a superare anche le difficoltà, conservando quel suo sguardo limpido e sincero, anch'esso consegnato alla storia come il suo talento da goleador che ne ha fatto il più grande calciatore del ventesimo secolo. 

Ebbene, mi scuso se sono stato impreciso su questioni strettamente calcistiche, ma il mio intento era soprattutto ricordare Diego Armando Maradona come "Mito" non solo del calcio ma anche della storia e della cultura: mondiale, nazionale ma soprattutto napoletana, con la certezza che nella "sua" città la sua "immaginetta", al pari di quelle di San Gennaro e di Santa Lucia, continuerà a campeggiare in eterno nelle puteche e nelle case di tutti, appassionati di calcio e non. Ciao, Diegoarma' !


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