Passa ai contenuti principali
CLINT EASTWOOD: UNA LEGGENDA LUNGA NOVANT'ANNI

 Lo stesso sguardo di ghiaccio sotto le sopracciglia arcuate, lo stesso fisico slanciato e perfino i medesimi capelli, sebbene ormai imbiancati. A prima vista Clint Eastwood, il "duro" ironico, il cowboy "senza nome" o l'ispettore armato di "44 Magnum", sembra non subire il peso del tempo. Eppure oggi compie ben novant'anni, metà dei quali passati su un set cinematografico dove, a poco a poco, è riuscito a farsi strada con strabiliante successo, prima come star di punta, poi come regista, dagli albori della sua carriera fino ad oggi.



Spesso si dice che una cosa è l'attore, un'altra il personaggio che interpreta, ma con Clint Eastwood, forse più di altri, vale quasi la regola contraria. Fin dalla sua adolescenza, a San Francisco, in California - dove è nato il 31 maggio 1930 -, Clint dimostra ben presto una gran voglia di farcela da solo e di essere indipendente. Incomincia dedicandosi alla musica, poi fa una esperienza sotto le armi, ed infine passa al cinema. Alto, atletico, dai lineamenti del volto appena accennati e con quello sguardo unico - diventato il suo punto di forza -, prende parte ad alcune pellicole americane fin dai primi anni '50, seppur in ruoli marginali.



                                                                                            Un giovane Cint Eastwood nella serie televisiva "Gli uomini della prateria".



La sua popolarità, negli Usa, arriva nel 1959, quando sulla CBS va in onda il telefilm "Gli uomini della prateria": una serie di genere western - all'epoca molto in voga - della quale il giovane Eastwood è il protagonista. Come ben sappiamo, però, la svolta nella sua carriera avviene in Italia, proprio grazie allo stesso genere e ad un grande regista, Sergio Leone. Nel 1964, infatti, Clint Eastwood raggiunge la popolarità mondiale grazie al ruolo de "l'uomo senza nome", il cowboy solitario dalla mira infallibile nel film "Per un pugno di dollari". Fu così che Clint Eastwood, l'uomo dalle due sole espressioni, "col cappello e senza" - secondo una battuta storica di Leone - , divenne il pistolero solitario "armato" di poncho e sigaro, l'eroe degli "spaghetti western", tornando a rivestire gli stessi panni negli altri due capitoli della cosiddetta  "Trilogia del dollaro": "Per qualche dollaro in più" (1965) e "Il buono, il brutto, il cattivo" (1966), "sfidandosi" - a turno - con Gian Maria Volonté, Lee Van Cleef ed Eli Wallach.


In alto, Clint Eastwood e Gian Maria Volonté in "Per un pugno di dollari".
In basso, con Lee Van Cleef in "Per qualche dollaro in più".




Proprio grazie a quelle fortunate pellicole, Clint Eastwood esce dall'anonimato, ponendo le basi di ciò che, in breve tempo, sarebbe diventato: un mito. E non solo col western - filone che non abbandonerà mai - , perché proprio qualche anno dopo, nei primi anni '70, arriva quel personaggio che farà di Eastwood non solo "l'eroe del west" ma anche quello della metropoli perduta tra criminalità e corruzione, tra violenza ed azione.



                                                                                            Clint Eastwood in "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!".


Con il ruolo dell'ispettore Harry Callaghan detto "La carogna", Clint diventa l'emblema del poliziotto dal fiuto infallibile che sfida le convenzioni, protagonista della fortunata serie cinematografica che va da "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!" (1971) , diretto da Don Siegel - col quale l'attore lavorò più volte -, a "Scommessa con la morte" (1988) di Buddy Van Horn, per un totale di cinque pellicole.



                                                                                                        Clint Eastwood e Larry Hankin in "Fuga da Alcatraz".


Alla fine del decennio poi - sempre sotto la direzione di Siegel -, Clint Eastwood è anche protagonista di un altro grande capolavoro, "Fuga da Alcatraz" (1979): qui interpreta Frank Morris, la "mente" della famosa evasione che vide tre detenuti tentare l'epica fuga dall'inespugnabile penitenziario "galleggiante" nella baia di San Francisco - compiuta nel giugno del 1962. Ma accanto all'eroe invincibile, protagonista di imprese spettacolari, c'è anche il cineasta.



In alto, Clint Eastwood in "Gunny".
In basso, con Morgan Freeman in "Gli spietati".



Già nei primi anni '70, Clint Eastwood inizia a fare i primi esperimenti con la macchina da presa, dirigendo se stesso in numerosi film di successo, alcuni divenuti veri e propri cult: da "Il texano con gli occhi di ghiaccio" (1976) a "Gli spietati" (1992) - vincitore di due Oscar, dedicati a Leone e Siegel -, da "Coraggio... fatti ammazzare"(1983) - penultimo capitolo della serie su Callaghan - al celebre "Gunny" (1986), per arrivare poi ai più recenti "Gran Torino" (2008) e "Il corriere - The Mule" (2018).


                                                                                                 Clint Eastwood e Maryl Streep ne "I ponti di Madison County".


Ma, nonostante la fama di "duro", Clint Eastwood ha anche diretto ed interpretato una pellicola dai
toni decisamente diversi: la romantica e malinconica "I ponti di Madison County" (1995), accanto
a Maryl Streep. Tuttavia, anche da regista, è rimasto sempre fedele alla sua fama di "invincibile", dedito ad una vita "spericolata", come d'altronde fuori dal set, dove ha "collezionato" numerose love-story, due matrimoni e ben otto figli.
E ancora oggi, nonostante l'età e nonostante il passare del tempo, il "vecchio" Clint mantiene ancora intatto il suo spirito avventuroso. D'altra parte, non c'è da stupirsi: stiamo parlando dell'eroe solitario, scontroso ma affascinante, rude ma ironico. E che si tratti del cowboy "senza nome" o del poliziotto infallibile e "carogna" poco importa. Si parla sempre di lui, del mito Eastwood: una leggenda lunga novant'anni.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...