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GIORGIO PERLASCA: UN EROE QUALUNQUE

 "Ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, cosa avrebbe fatto?". Fu questa la sua risposta al giornalista Enrico Deaglio, autore di una biografia corredata di un'intervista dal titolo "La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca".
Fino a soli dieci anni prima, la sua vicenda era rimasta celata dentro di lui, come qualcosa di inimmaginabile, di assurdo. Qualcosa su cui mantenere il riserbo e non solo per umiltà - dote che non gli è mai mancata -, ma soprattutto per l'incredulità che suscita un racconto del genere. "Un uomo qualunque", un ex commerciante in carni, che si spaccia per Jorge Perlasca, Console spagnolo, e salva oltre cinquemila ebrei ungheresi dai campi di sterminio.




Eppure, alla fine degli anni '80, pochi anni prima della sua morte, Giorgio Perlasca o meglio "Jorge", uscì fuori dal silenzio per raccontare la sua verità.
Tutto cominciò l'8 settembre 1943, il giorno dell'Armistizio. Perlasca - nato a Como il 31 gennaio 1910 - si trovava a Bucarest, come commerciante di carni per conto dell'Esercito italiano. Un tempo, aveva aderito al fascismo, partecipando come volontario alla guerra di Etiopia e poi alla guerra civile spagnola. Dopo l'alleanza dell'Italia di Mussolini con la Germania di Hitler e la promulgazione delle leggi razziali nel 1938, Giorgio Perlasca cominciò a non nutrire più quella simpatia per il Regime. Così, divenne commerciante di carni per conto dell'Esercito e per questo, l'8 settembre, si trovava proprio a Bucarest, in Ungheria. A Perlasca venne chiesto di aderire alla Repubblica di Salò ma lui, in virtù della sua fedeltà giurata al re, rifiutò, così venne rinchiuso in un castello, insieme ad altri diplomatici come lui. Perlasca, però, riuscì a rifugiarsi presso l'Ambasciata spagnola dove - per via dei suoi trascorsi come combattente quale alleato della Spagna nella guerra civile - riuscì ad ottenere un passaporto iberico e un nuovo nome: Jorge Perlasca. Così, cominciò a collaborare con l'ambasciatore Sanz Briz, facendo ottenere la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei ungheresi presenti a Bucarest. La guerra era ormai agli sgoccioli, ma l'Armata rossa - l'esercito sovietico che avrebbe liberato il paese dal nazismo - tardava ad arrivare e nel frattempo le S.S .e le Croci Frecciate ( i nazisti ungheresi che deportavano tutti gli ebrei nei campi di sterminio) aveva instaurato un regime duro, tanto che l'ambasciatore Briz fu costretto ad abbandonare Bucarest. Perlasca no, lui rimase. Si autonominò (attraverso documenti falsificati) nuovo Console spagnolo riuscendo così a salvare più di cinquemiladuecentodiciotto persone tra uomini, donne, anziani e bambini.
Con l'arrivo dell'Armata rossa la guerra finì ma per Giorgio Perlasca cominciò un lungo calvario.
 I sovietici, per via dei suoi trascorsi da fascista, lo rispedirono nuovamente in Italia. Qui, si stabilì a Maserà, in provincia di Padova, cominciando a lavorare in un Paese affranto, distrutto, ma pronto a ricominciare. Della sua impresa, parlò molto poco. Forse per paura di non essere creduto, tant'era incredibile, ma forse anche per la sua umiltà, per non essersi mai sentito un "eroe" ma una persona normale.
Molti anni dopo, nel 1987, alcune donne ebree ungheresi, bambine all'epoca delle persecuzioni razziali, si misero alla ricerca di quell'uomo che, quarant'anni prima le aveva salvate dalla follia Nazista.


                      L'albero piantato in memoria di Perlasca nel "Giardino dei Giusti" a Gerusalemme.



Fu così che la storia di Giorgio Perlasca uscì allo scoperto. Venne dichiarato "Giusto tra le nazioni" ma ricevette molti altri riconoscimenti, apparendo sui giornali, in televisione, per portare la sua testimonianza tenuta soltanto per sé per lunghi anni. Nel 1991, venne pubblicata la sopracitata biografia di Deaglio, con quella risposta alla domanda del perché avesse fatto tutto ciò: "ma lei, cosa avrebbe fatto?". Una risposta che sottolinea la semplicità, l'incredula banalità dell'operato di un uomo che, di lì a poco - il 15 agosto 1992 -, sarebbe volato via avendo giusto il tempo di raccontare a tutti ciò che aveva fatto per pura generosità. Non era infatti né ungherese, né ebreo, né spagnolo: era soltanto un essere umano in grado di comprendere che le uniche barriere esistenti sono quelle che innalziamo noi, per nostra esplicita volontà.
A Gerusalemme, però, nel "Giardino dei Giusti" dello Yad Vashem, l'albero piantato in suo ricordo continua a fendere il cielo ancora oggi, a cento anni dalla nascita di un eroe qualunque, simbolo di bontà, coraggio e grande umanità.

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