Passa ai contenuti principali
VENT'ANNI SENZA LUCIO: IL SUO CANTO È LIBERO

 "Come può uno scoglio arginare il mare?". Mogol, forse, non ci avrebbe mai pensato. Eppure questa frase - tratta dal testo di "Io vorrei...non vorrei...ma se vuoi..." - sembra scritta apposta per lui: Lucio Battisti.
Perché, a vent'anni di distanza dalla sua morte e a ventiquattro dal suo ultimo disco, possiamo affermare con certezza una cosa: lo "scoglio" tempo non ha arginato affatto il "mare" Battisti.



Un giovane ragazzo di provincia - era nato a Poggio Bustone, in provincia di Rieti - che imparò a suonare la chitarra da autodidatta mentre, per promessa fatta al padre, studiava per prendersi un diploma.
Era quello il suo lasciapassare: l'unico modo per convincere la famiglia a permettergli di dedicarsi alla musica. Perché sapeva che la musica era la sua strada, ed era deciso a percorrerla.
Cominciò la sua carriera suonando in diversi gruppi musicali, tra cui " I Campioni", che lo portarono con sé, come chitarrista, a Milano. La svolta arrivò nel 1966, con la casa discografica "Ricordi" e l'incontro col paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol.
Probabilmente era un segno del destino. Mogol si occupava dei testi, Lucio della musica. Il risultato? 12 album di poesia, quasi sempre ai vertici delle hit-parade.
Il primo brano è "Dolce di giorno". Ma il primo successo arriva tra il 1967 e il 1968 con due brani: "29 settembre" - realizzato dalla coppia ma portato al successo dagli "Equipe 84" - e poi "Balla Linda", fortunatissimo "lato B" del primo vero singolo di Battisti. L'anno successivo l'approdo a Sanremo col brano "Un'avventura" che, nonostante un nono posto in classifica e mille critiche sulla sua "esecuzione", è ancora oggi uno dei più noti e conosciuti dell' artista.


                                                                 
                                                                            Mogol e Lucio Battisti.

Arrivano così gli anni '70, nei quali il binomio "Mogol-Battisti" diventa garanzia di qualità, vedendoli indiscussi protagonisti della scena musicale italiana.
"Acqua azzurra, acqua chiara", "Emozioni", "La canzone del sole" - primo singolo prodotto dalla "Numero Uno", etichetta fondata da Mogol e Battisti, insieme ad altri ex cantanti della "Ricordi"-, "I giardini di marzo", "Pensieri e parole", "Il mio canto libero", "Ancora tu", "Una donna per amico", "Amarsi un po' ". Sono solo alcuni dei titoli più amati, più ricordati.

     Alcune note "copertine" dei più noti successi targati Mogol-Battisti. Da sinistra: "Un'avventura", Acqua azzurra, acqua chiara", "La canzone del   sole", "Emozioni" ed "Il mio canto libero".


I 45 giri più venduti, le canzoni più gettonate nei juke-box, sono le sue. E non era certo facile fare successo con la musica in quegli anni. Doveva essere "impegnata", portatrice di istanze contestatrici e rivoluzionarie. Tutti nei loro testi hanno voluto - per forza - vedere allusioni politiche, messaggi in codice. Per fortuna, alla gente non interessava nulla di tutto ciò. E sebbene lui concedesse pochi concerti, pochissime interviste e apparizioni in tv - memorabile il duetto con Mina a "Teatro 10", nel 1972 - al suo pubblico non importava: bastava poter ascoltare i suoi dischi, sognare su quelle note ed emozionarsi con quelle parole.
Sembrava una favola destinata a non finire mai. Ed invece, nel 1980, Mogol e Lucio presentarono il loro ultimo album: "Una giornata uggiosa", come sempre un successo straordinario.
Molte discussioni sono nate intorno a questo "divorzio" artistico. Si è parlato di una precisa volontà di Lucio, per poter crescere e "sperimentare nuove cose". Si è parlato di problemi in relazione ai diritti d'autore da dividere con Mogol. Si è anche detto che fu la moglie del cantante, Grazia Letizia Veronesi, ad averlo convinto ad interrompere la collaborazione. Ma una cosa è certa: in quel preciso istante, finì la prima vita di Battisti.


                                                                                       Mina e Battisti duettano a "Teatro 10", 1972.

Da quel momento, nulla fu come prima. Il "secondo" Battisti è ancora più chiuso del precedente, più solitario e forte sperimentatore.
Inizialmente collaborò con la moglie che firmò - con lo pseudonimo di "Velezia" - l'ultimo singolo di Lucio, "E già". Nel 1986, invece, il vero cambio di rotta: l'inizio della collaborazione con il paroliere Pasquale Panella.
Tutta un'altra musica potremmo dire. Al bando dolci parole, melodie orecchiabili. Qui c'è una forte contaminazione elettronica ed anche un accostamento al nascente genere "rap". I testi poi, molto più complessi e "nonsense" di quelli a cui per anni ci aveva abituato. È il canto del cigno. Il suo ultimo album, "Hegel", esce nel 1994: non ne seguiranno altri. Ormai è fuori dalle scene, sempre più isolato, sempre più solo. Quella stessa solitudine che, in una lettiga del San Paolo di Milano, se lo portò via, il 9 settembre 1998.
Il suo pubblico, però, gli ha perdonato anche questo. Perché lui era Lucio Battisti. Un poeta del ventesimo secolo: colui che non amava stare in pubblico, ma sapeva comprendere e mettere in musica ciò che la gente desiderava ascoltare.
La stessa gente che, ancora oggi, continua ad emozionarsi con la sua musica e a trasmetterla alle nuove generazioni. Perché a nulla possono valere i problemi sui diritti d'autore, le beghe legali che hanno, per anni, contrapposto Mogol alla famiglia Battisti (moglie e figlio). La musica di Lucio appartiene a tutti noi: "il suo canto è libero" e lo resterà per sempre.





Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...