Passa ai contenuti principali
BASTA NON ESSER CERTI, MAI!

"Il bene è il dubbio! Quando incontrate una persona che ha dei dubbi, state tranquilli, vuol dire che è una brava persona" - dice il professor Bellavista ai suoi "discepoli". Mi riferisco, ovviamente, al film "Così parlò Bellavista" (1984) diretto ed interpretato dal mitico Luciano De Crescenzo - scrittore, ingegnere e filosofo.


Lo scrittore napoletano interpretava la parte di un professore di filosofia in pensione che passava le sue giornate dando "lezioni di vita" ad alcuni amici -inquilini del suo palazzo, nel centro di Napoli- come una sorta di Socrate del XX secolo.
Per "il professore" il dubbio è la miglior cosa che possa capitare all'uomo: il dubbio ci fa vacillare, ci rende sospettosi, insicuri delle nostre convinzioni. Facendo questo, ci consente di ragionare meglio sulle cose, di non dare nulla per scontato. E su questo possiamo anche essere d'accordo. "Il dubbio è il padre dell'intuito".
Però mi chiedo, fin quando può valere questo ragionamento? Diciamo la verità, dubitare fa senz'altro bene. Ci porta ad essere meno impulsivi, a riflettere di più prima di fare qualsiasi cosa. Però, come diceva qualcuno, " est modus in rebus", "c'è una misura in tutte le cose". In altre parole: dubitare si, ma fino ad un certo punto. Non si può essere perennemente indecisi. Bisogna sforzarsi di capire, prendere posizione qualche volta, altrimenti non si va da nessuna parte.
Come quando si deve attraversare la strada: va benissimo fermarsi, guardare a destra e a sinistra, ma quando è il momento tocca pure decidersi ed attraversare rapidamente, altrimenti si rischia di rimanere bloccati per ore sul marciapiede.
Il peggio è quando si utilizza il dubbio a mo' di scusa: "preferisco aspettare, non sono sicuro", "devo pensarci bene", "meglio prendere tempo". Quante volte l'abbiamo detto?
Insomma, De Crescenzo, a mio avviso, ha ragione. Il dubbio è senz'altro un bene. Non bisogna essere mai troppo impulsivi, ma nemmeno ci si può adagiare sugli allori. Credo che la metafora adatta sia "il dare precedenza" agli incroci: rallentare, per sicurezza, ma appena la via è libera ripartire subito, prima che sopraggiungano altre auto.
Per cui, facciamo pure uso del dubbio, ma senza abusarne. Anche perché, alla fine, non ci si libera mai di lui, anche quando si compie una scelta pensata e ripensata. È un po' una costante della vita. Anche quando risolveremo un problema, quando penseremo di aver trovato la giusta soluzione, avremo sempre quel po' di incertezza che ci farà credere di aver sbagliato tutto.
Alla fine, forse, è proprio quell'incertezza a spronarci, a darci la giusta spinta per agire. "Basta non esser certi, mai!", cantava Gino Paoli in una sua canzone. Probabilmente è così!

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...