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Visualizzazione dei post da ottobre, 2024
COSÌ PARLÒ BELLAVISTA: LA NAPOLI DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI « Ciononostante in questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia ancora l'ultima speranza che ha l'umanità per sopravvivere ». Parole che sembrano di una attualità quasi sconcertante, eppure pronunciate quarant’anni fa. Parole da “eterno ritorno” di Nietzsche, che ispirò anche il titolo del film. Ma proprio in queste parole, proferite da Luciano De Crescenzo poco prima dei titoli di coda, si condensa il senso profondo di Così parlò Bellavista , nato come un libro umoristico e diventato un capolavoro cinematografico che descrive, meglio di tante tele e acquerelli col Vesuvio e il golfo di Napoli in evidenza, l’essenza stessa di una città che è tutto e il contrario di tutto. Bella e brutta, onesta e disonesta, fiera e paurosa, angelica e dannata.  Per Luciano De Crescenzo, alias Gennaro Bellavista, professore di filosofia in pensione, Napoli rappresenta l’ulti
RAI RADIO CENTO, SULLE ONDE DELLA FANTASIA E DELLA MERAVIGLIA Due giri di manopola, un leggero fruscio e una voce chiara, calda e precisa. Era il 6 ottobre 1924 quando Maria Luisa Boncompagni, sotto le insegne dell’ URI , Unione Radiofonica Italiana, dava inizio a un sogno. Un sogno da vivere a occhi chiusi e orecchie aperte. Con la testa incollata all’altoparlante, mentre si giocava con le manopole per sintonizzare il programma e raggiungere il perfetto equilibrio tra  qualità del suono e sua potenza.  Dalle grosse radio a valvole, sbuffanti e surriscaldabili come in preda all’ira, alle piattaforme digitali (la DAB) ne è passato di tempo e trascorsa di Storia. La storia drammatica del fascismo, che aveva fatto dell’ EIAR la propria “voce”, lasciando un briciolo di leggerezza e speranza attraverso le voci soavi di Alberto Rabagliati e del Trio Lescano e la sfida all’ultima nota tra l’autarchico Cinico Angelini e la bacchetta swing di Pippo Barzizza. La storia del Festival di Sanremo
NINI ROSSO, LA FELICITÀ DI ESSERE TRISTI Nelle prime scene di Se non avessi più te , terzo “musicarello” di Fizzarotti con protagonisti Gianni Morandi nei panni di un soldato di leva e Laura Efrikian in quelli della figlia del suo maresciallo, uno straordinario Nino Taranto, c’è un uomo baffuto, vestito da sottufficiale, che nel cortile della caserma, la sera prima del congedo delle reclute, suona alla tromba Il silenzio , ma in una versione molto speciale. Malinconica, struggente, accompagnata da una parte recitata in cui un soldato, lontano  da casa, ripensa con nostalgia alla sua bella. Quel sottufficiale si chiamava Nini Rosso e di quel Silenzio  aveva fatto la sua fortuna, tanto da essere inserita in uno di quei film musicali che andavano tanto di moda. Ma, forse, il Silenzio  era anche la sua vera cifra.  Torinese, classe 1926, figlio di un operaio della FIAT che lo voleva maestro, prese la licenza magistrale ma la passione per la tromba era troppo forte per non seguirla. Aveva i
BUON COMPLEANNO, MAESTRO MAZZA! Si sente forte la sua assenza. La sua figura, allegra e scanzonata, ha nobilitato decine di programmi Rai dirigendo la sua mitica Orchestra. Gianni Mazza, il maestro Mazza, è uno di quei personaggi che hanno fatto la Storia della nostra televisione. Pianista di formazione jazz , tastierista per Little Tony tra Cantagiro e tournée per il globo, autore di musiche e colonne sonore per il cinema e la televisione, il maestro Mazza è diventato un mito dopo il suo approdo in Rai negli anni ’80.  Con la sua chioma fluente, le grosse lenti e i suoi panciotti sgargianti sotto giacche altrettanto eccentriche, ha portato brio e leggerezza nella Tv più garbata e gentile. Dagli esordi con la carovana di Renzo Arbore, tra Quelli della notte   e   Indietro tutta! , alla consacrazione con Scommettiamo  che…? , glorioso varietà del sabato sera condotto da Fabrizi Frizzi e Milly Carlucci dal Teatro delle Vittorie. La regia era del grande Michele Guardì che poi portò Mazz
L'AUTOSTRADA (DEL SOLE) DELL'AVVENIRE La chiamarono Autostrada del Sole , eppure il giorno prima della sua apertura, il 4 ottobre 1964, sul tratto appenninico tra Umbria e Toscana, l'ultimo ad essere completato, si scatenava un nubifragio. Erano bastati soli otto anni. Soli otto anni per realizzare più di settecento chilometri d’asfalto distribuiti tra doppie carreggiate, lunghi viadotti, profonde gallerie e ampi svincoli. Una benedizione, in pratica, resa concreta da un cielo plumbeo e deciso a bagnare degnamente quella giornata.  Chissà, magari era stato proprio San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, contento di vedere il suo Paese, evangelizzato a dorso di asino tra mulattiere e impervi sentieri, finalmente unito da Napoli a Milano, dal soleggiato Mezzogiorno al nebbioso Nord, attraverso un percorso rapido e sicuro, dove anche la parola di Dio sarebbe fluita più facilmente, raggiungendo gli altari della splendida Chiesa di San Giovanni Battista, progettata da Giovanni
BUON COMPLEANNO, MILLY! Per me è la personificazione di “mamma Rai”. Certo, di grandi donne, la Radiotelevisione italiana ne ha avute tantissime, in sana competizione tra loro per bellezza e talento, da Mina e Raffaella Carrà a Loretta Goggi e Lorella Cuccarini. Ma se ci soffermiamo sugli ultimi quarant’anni della Tv di Stato, ecco che in tutta la sua eleganza, gentilezza e bravura appare lei, Milly Carlucci. Lanciata da Renzo Arbore ne L’altra domenica , nel 1976, madrina per diversi anni a Giochi senza frontiere , valletta di Pippo Baudo al Festival di Sanremo ’92, la Carlucci ha dominato il decennio della mia infanzia, gli anni ’90.  Sorriso largo, lingua sciolta e gambe chilometriche per star dietro agli eroici e aitanti performer in Scommettiamo che…? , accanto a Fabrizio Frizzi, nonché affabilità e allegra disinvoltura tra i tanti conduttori di Luna Park , il preserale di Rai 1 tra concorrenti, giochi, premi e Cloris Brosca nei panni di zingara con la terribile carta della “lun
CIAO,  POPOFF ! Il suo caschetto biondo e quel faccino impertinente non li ha dimenticati nessuno. Per tutti era  Popoff , il bambino che nel 1967 vinse lo  Zecchino d'Oro  con quel brano che raccontava di un cosacco dello zar un po’ goffo e del tutto inadeguato alla vita militare tra le nevi della steppa. Walter Brugiolo, invece, sei anni d’età e lo sguardo di chi ha già capito tutto dalla vita, sembrava nato per vivere sotto i riflettori. E lo dimostrò ben presto come piccolo prodigio coprotagonista dei gloriosi “musicarelli”.  Tra Little Tony e Al Bano, rispettivamente insegnante di scuola guida un po'  playboy  e povero pescatore legato alla famiglia e innamorato della bella Romina Power, Walter Brugiolo divenne il fratello piccolo che tutti avrebbero voluto: vispo, intelligente e molto più astuto degli adulti, dispensando consigli di vita e d’amore, che lui stesso mette in pratica (con scarsi risultati) con una dolce, rossa e lentigginosa Nicoletta Elmi. Tra  Zum Zum Zum -