EDUARDO DE FILIPPO, VIVERE PER RECITARE
«Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita [...] Così si fa teatro, cosi io ho fatto!». Visibilmente commosso, segnato in volto e nell'animo, Eduardo parlava, a cuore aperto, al pubblico del Teatro Antico di Taormina, il 15 settembre 1984. Ringraziò per la prima volta suo figlio, Luca, «venuto dalla gavetta, dal niente», cresciuto bene proprio grazie alla grande palestra del teatro. Quel teatro che dal commendator Scarpetta in su ha prodotto lacrime, sorrisi, dolori, amori e riflessioni.
Perché Eduardo scriveva con il cuore prima che con la testa. Esordì, al pari dei fratelli, la maggiore Titina e il minore Peppino, sul palcoscenico di papà Eduardo Scarpetta prima, del fratellastro Vincenzo Scarpetta poi. Ma fare l'attore, per lui, non era sufficiente. Eduardo aveva tanto da dire, da raccontare. Cominciò a scrivere ben presto e alla fine della sua carriera si ritrovò con ben cinquantacinque commedie. Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria!, Filumena Marturano, Questi fantasmi!, Mia famiglia, Il sindaco del Rione Sanità, Gli esami non finiscono mai sono solo le più celebri, in grado di superare tempo e spazio grazie alle trasposizioni televisive realizzate a partire dagli anni ’60. Storie di famiglie disastrate, di guerre, sofferenze, dolori, amori, tormenti, illusioni e delusioni. Storie scritte più di cinquant’anni fa ma ancora attualissime. Perché il gioco della vita è sempre quello. Un equilibrio instabile tra bene e male, tra piacere e dolore, tra amore e odio, giusto e sbagliato, verità e menzogna. Eduardo sapeva bene tutto questo. L’aveva provato sulla propria pelle. Nella mancanza dell’affetto di un padre, il commediografo Scarpetta che non gli diede l’amore che lui avrebbe voluto ma, in compenso, gli trasmise il genio, forse come un palliativo al dispiacere. Nel rapporto complicato con il fratello Peppino, fatto di litigi e riconciliazioni, ma anche di successi. Nell’amore incondizionato per sua sorella Titina. Nel dolore per la morte di sua figlia Luisella, scomparsa a soli dieci anni per una emorragia cerebrale. Nella soddisfazione e nell’orgoglio per suo figlio Luca, che ha saputo seguirne le orme con passione e dedizione. Amore e sofferenze, luci e tenebre. Anche il teatro è fatto così. Si vive per recitare, non si recita per vivere. E vivere per recitare, come ha fatto Eduardo, significa lasciarsi coinvolgere in un turbinio di emozioni contrastanti, tra «sacrifici e gelo», mentre il cuore trema. Come quella sera al Teatro Antico di Taormina. «Anche stasera mi batte il cuore, e continuerà a battere, anche quando si sarà fermato», disse Eduardo e aveva ragione. Perché quella vita di sacrifici e di gelo, per amore del teatro, non è stata vana. Perché quel cuore, quello che si è fermato il 31 ottobre 1984, appena un mese dopo la sua confessione dal profondo dell'animo, continua ancora a battere: nei fiumi d’inchiostro delle sue commedie, in quelle riflessioni ancora vive nel presente, e nel suo ricordo.
A.M.M.
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