L'AUTOSTRADA (DEL SOLE) DELL'AVVENIRE
La chiamarono Autostrada del Sole, eppure il giorno prima della sua apertura, il 4 ottobre 1964, sul tratto appenninico tra Umbria e Toscana, l'ultimo ad essere completato, si scatenava un nubifragio. Erano bastati soli otto anni. Soli otto anni per realizzare più di settecento chilometri d’asfalto distribuiti tra doppie carreggiate, lunghi viadotti, profonde gallerie e ampi svincoli. Una benedizione, in pratica, resa concreta da un cielo plumbeo e deciso a bagnare degnamente quella giornata.
Chissà, magari era stato proprio San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, contento di vedere il suo Paese, evangelizzato a dorso di asino tra mulattiere e impervi sentieri, finalmente unito da Napoli a Milano, dal soleggiato Mezzogiorno al nebbioso Nord, attraverso un percorso rapido e sicuro, dove anche la parola di Dio sarebbe fluita più facilmente, raggiungendo gli altari della splendida Chiesa di San Giovanni Battista, progettata da Giovanni Michelucci, posta nei pressi dello svincolo di Firenze Nord e dedicata a tutti coloro che avevano perso la vita nella costruzione dell’autostrada. E proprio scorrendo con grande fluidità, tra corsie, sorpassi, lampeggiare di frecce, ingressi, uscite e soste in Autogrill, facevano gran mostra di sé berline di lusso, come le Fiat 1100 , le Alfa Romeo Giulia e le Lancia Appia, oppure le piccole utilitarie simbolo esse stesse del “Boom economico”, ovvero le Fiat 500 e le Fiat 600. E mentre i papà guidavano felici, con le mamme accanto a chiedere prudenza, i bambini seduti dietro facevano boccacce e sberleffi dai finestrini all’automobilista appena sorpassato, mentre sotto i loro occhi scorrevano paesaggi bellissimi e borghi fino ad allora sconosciuti dell’Appennino, sorvolato da quella struttura solida e avveniristica, lontana anni luce dalle doppie curve delle strade statali che si infilavano tra i paesi, come fili tra le crune di aghi. L’Autostrada del Sole non migliorava soltanto la viabilità del Paese, non univa idealmente (e concretamente) il Nord industrializzato con il Sud agricolo. L’Autostrada del Sole apriva nuovi orizzonti, svelava luoghi e angoli nascosti, da raggiungere in tutta comodità, spendendo poco. Un pieno di benzina, una controllata alla pressione delle gomme, carico bagagli e si era pronti per partire, lasciando che la propria auto corresse piacevolmente su quella lingua d’asfalto baciata dal sole che attraversava il Belpaese con fierezza e all’insegna della modernità. Tutto questo, oggi, ci fa sorridere. Se pensiamo all’esodo di Ferragosto, incolonnati a pochi chilometri dal nostro svincolo prediletto, ai funesti bollettini di Onda Verde, alle migliaia di incidenti provocati, spesso, dall’imprudenza del guidatore, l’Autostrada del Sole ci appare un’arteria come tante altre, ampliata, per certi versi migliorata, ma non più così bella, scorrevole e innovativa. È lo specchio dei nostri tempi. Tempi in cui, forse, anche un temporale come quello che si abbatté tra corsie e guardrail sessant’anni fa, sarebbe stato avvertito come un cattivo presagio. Ma allora c’era la speranza, che non veniva mai delusa. Infatti, quel giorno, dopo il temporale, improvvisamente il cielo si schiarì, spuntò un arcobaleno e il Sole tornò a illuminare la sua “strada dritta”, come l’ha definita Francesco Pinto in un bel romanzo. Il Sole della fiducia, il Sole dell’avvenire.
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