IL RAGAZZO DI CAMPAGNA: LA FELICITÀ È UNA COSA SEMPLICE
Tenerezza. È la prima parola che viene in mente riguardando un cult che compie oggi quarant’anni - usciva nelle sale il 21 dicembre 1984 - ma conserva tutta la freschezza dell’opera prima. Il ragazzo di campagna è sicuramente il film più amato tra quelli interpretati da Renato Pozzetto, qui nelle vesti di un contadino delle campagne pavesi deciso a mollare la zappa e a tuffarsi nella tentacolare vita cittadina, approdando a Milano a bordo di un trattore e bloccando il traffico in piazza San Babila.
Artemio conduce una vita apparentemente felice e tranquilla, accudito dalla anziana madre Giovanna e da Maria Rosa, una ragazzotta da sempre innamorata di lui ma non corrisposta. Le sue giornate passano tra carico e scarico di letame, campi da arare e seminare e, una volta a settimana, lo spettacolo del treno che attraversa il borgo, a cui tutta la anziana popolazione assiste, stupefatta e felice. Una mattina, però, nel giorno del suo compleanno, prendendo consapevolezza di aver compiuto quarant’anni, la stessa età del castagno che il papà aveva piantato quando era appena nato, Artemio decide di fare le valige e partire. Ma arrivato in città, si rende conto ben presto che la vita non è così semplice come la immaginava. Inizialmente chiede aiuto a un suo cugino emigrato da tempo, che però si rivela essere un ladro che lo coinvolge, inconsapevolmente, in alcuni scippi in Vespa. E proprio grazie a uno scippo conosce Angela, una ragazza moderna, dinamica, autonoma e lavoratrice che cerca di aiutarlo ad ambientarsi e a trovare lavoro. Artemio si sistema così in un miniappartamento in un residence all’avanguardia, e si mette alla ricerca di un lavoro. Prova come accompagnatore di un non vedente, come metronotte, come attore nella pubblicità di un detersivo ma alla fine, tra equivoci e sfortune, si ritrova sempre disoccupato, finendo anche tutti i risparmi che aveva. Nel frattempo, Artemio si innamora di Angela, che è a suo modo attratta da quell’uomo goffo e simpatico, e dopo una notte trascorsa insieme le chiede di sposarlo. Angela però rifiuta, dicendo di essere una donna moderna e libera, non intenzionata a mettere su famiglia. A quel punto, Artemio, deluso, tenta il suicidio nel Naviglio Grande, ma invece di cadere in acqua finisce sulla barca di un tale che gli offre un lavoro tutt’altro che onesto: spacciare marijuana davanti alle scuole. Artemio capisce che quello non è affatto il suo mondo, incominciando a inveire contro la città e sputando su alcune auto in sosta tra le quali si trova una pantera della polizia. Viene così fermato e rispedito nel suo paese col foglio di via. Per Artemio, tuttavia, il ritorno a casa è assolutamente provvidenziale. Finalmente prende consapevolezza della sua fortuna, quella di vivere in un luogo in cui ancora si possiedono dei valori e dove si conduce una vita tranquilla e serena pur nella sua semplicità. E così, nel momento in cui riceve la visita di Angela che, con la scusa di comunicargli l’esito positivo di un colloquio di lavoro, gli rivela di aver ripensato alla sua proposta, pur rimanendo sempre sul vago, Artemio decide di chiudere definitivamente quella parentesi cittadina, accettando finalmente l’amore di Maria Rosa e il suo destino bucolico.
Credo che la scena finale, in cui Artemio e Maria Rosa, a bordo di uno «spider carrozzato farina» - ovvero un trattore senza cabina carico di sacchi di farina -, partono tra verdi prati verso una serena esistenza in due - sulle note di “Beato te contadino”, colonna sonora della pellicola - sia la conclusione perfetta di un film che, magistralmente confezionato da Castellano & Pipolo e recitato in maniera eccellente da Pozzetto, regala non soltanto sorrisi e divertimento, con battute entrate nella leggenda (da «il treno è sempre il treno» a «ho interessanti prospettive per il futuro»), ma soprattutto spunti di riflessione importanti. Artemio, nella sua saggia ignoranza contadina, capisce soltanto dopo una tragi-comica esperienza in città quali siano davvero le cose che contano, i valori importanti. Artemio credeva di aver vissuto per quarant’anni fuori dal mondo, senza aver visto tanto, accontentandosi della sua misera vita agreste. Ma alla fine, tra peripezie e delusioni, si rende conto di aver sempre avuto quanto bastava per essere davvero felice. Come a dire: bisogna perdere ciò che si ha per capirne il valore. Bisogna partire per assaporare il piacere del ritornare. Ecco, io credo che Il ragazzo di campagna ci spinga, sul filo del sorriso, a una profonda riflessione sulla felicità autentica, quella fatta delle piccole cose quotidiane, che in questo film emerge in tutta la sua potenza tra una comicità surreale e una tenerezza propri del volto e dell’animo di un grande attore quale è stato, ed è, Renato Pozzetto.
A.M.M.
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