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IL NATALE “DENTRO”


«Gli esseri umani si dividono in presepisti ed alberisti e questa è una conseguenza della divisione del mondo in mondo d’amore e mondo di libertà […]. L’alberista si serve per vivere di una scala di valori completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere: il secondo invece pone ai primi posti l’Amore e la Poesia». Con queste poetiche e sublimi parole di Luciano De Crescenzo, tratte dalla sua opera prima, ovvero Così parlò Bellavista (il libro, non il film), mi accingo a fare una breve riflessione in questo freddo 25 dicembre 2024. Un Natale «come comanda Iddio» con «tutti i sentimenti», come avrebbe detto Luca Cupiello, alias Eduardo De Filippo. Ecco, egli era forse l’emblema stesso dell’essere presepista e non alberista. 




Sembrerebbe una banale distinzione in base ai gusti: così come c’è chi preferisce il Panettone al Pandoro, c’è chi preferisce l’Albero al Presepe. Chiariamo subito: chi scrive adora l’Albero di Natale, le lucine colorate avviluppate attorno alle ringhiere dei balconi, le corone ai portoni, gli addobbi fastosi e luccicanti. Tutto questo è straordinario, meraviglioso. Contribuisce a dare allegria, forma al Natale, che sia quello puramente cristiano o la festa laica che (da tempo) ha preso piede attorno alla tradizionale ricorrenza strettamente religiosa. Ma parliamo di forma, appunto, non di sostanza. Aristotele sosteneva che la forma fosse essa stessa sostanza, ed è anche giusto, ma il più delle volte dietro la sontuosità di un addobbo perfettamente confezionato si cela una vuotezza di sentimento. Essere presepisti o alberisti come diceva De Crescenzo, infatti, non significa soltanto preferire la riproduzione scenica della venuta al mondo di Cristo all’abete illuminato a giorno da lucciole e nastrini colorati. Significa semplicemente vivere il Natale in maniera differente: dal di dentro o dal di fuori. Il Natale è sicuramente anche una festa di raffinato gusto estetico. Non sarebbero feste natalizie se non ci si concedesse il lusso di vestirsi di tutto punto, divorare leccornie e prelibatezze, addobbare con cura le nostre case e passare del tempo con chi amiamo di più. Però, il Natale, quello autentico, è molto più umile e semplice di così. Natale significa celebrare la nascita di Gesù ogni anno come se fosse la prima volta. Significa accogliere dentro di noi il suo messaggio di speranza, di fiducia nelle nostre capacità e in quelle di chi ci sta intorno. Essere presepisti significa esattamente questo: vivere il Natale “da dentro”. Essere alberisti, invece, significa viverlo “da fuori”. Il filosofo Nietzsche era un cultore del fifty-fifty sotto diversi punti di vista, per cui mi verrebbe da sposare la sua teoria e sintetizzarla con la magistrale parabola di De Crescenzo: l’ideale sarebbe essere, al tempo stesso, alberisti e presepisti. Mettere d’accordo, in sostanza, testa e cuore, ragione e sentimento, gusto estetico e spiritualità del culto, forma e sostanza. L’importante è ricordarsi un concetto fondamentale: il vero Natale riposa nei nostri cuori. E se a ridestarlo - come il pastore Benino che riposa in un angolino del presepe ma vive il momento della venuta del Salvatore più di chiunque altro - fossero anche le lucine intermittenti di un abete vestito a festa, ben venga. Ciò che conta è che il calore di quelle luci scaldi i nostri animi, risvegliando in noi tutta la magia del Natale più autentico. Da ottimi presepisti e raffinati alberisti. Buon Natale a tutti!

A.M.M.


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