TROISI E IL "SUO" POSTINO: UN ATTO D’AMORE
Amore. Credo sia questo il termine che racchiude, nella sua interezza, un film che ancora oggi, dopo trent’anni, suscita emozione, malinconia e tenerezza come la prima volta. Il postino, l’ultimo, desiderato e sofferto (per via delle sue condizioni di salute) film di Massimo Troisi è intriso d’amore. L’amore è nelle romantiche musiche di Luis Bacalov. L'amore spunta tra le righe di un dialogo, si legge nel volto e negli occhi dei protagonisti.
Si percepisce a ogni fotogramma, dai tramonti sul mare alle strade assolate che Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), disoccupato figlio di un pescatore che trova impiego come postino personale per il poeta Neruda (Philippe Noiret), in esilio nel 1952 su un'isola del mediterraneo per le sue idee comuniste, percorre con foga e piacere pur di conversare con quell’uomo che sembra solo ma in realtà vive, dentro sé, un mondo di incontri e di scontri, letterari e reali, che affascinano il giovane. Perché c’è amore nei dialoghi tra Neruda e il suo amico postino. C’è amore nelle sue poesie, che Mario apprezza rivendicandone una per sé, per conquistare il cuore di una ragazza.
In alto, Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) con Pablo Neruda (Philippe Noiret). In basso, Mario e Beatrice (Maria Grazia Cucinotta). |
Perché l’Amore del film, quello cavalleresco, quello con la “a” maiuscola è quello di Mario per Beatrice (Maria Grazia Cucinotta), la figlia della locandiera dell’isola di cui si innamora semplicemente guardandola. “La guardavo e m’innamoravo”, dice Mario a Neruda confidandogli i suoi sentimenti, e l’amore diventa protagonista assoluto. Perché oltre l’amore per Beatrice (di dantesca memoria ma, in questo caso, appagato) c’è l’amore per la propria terra, il Cile per Neruda e questa imprecisata isola mediterranea (Salina e Procida i luoghi reali delle riprese) per Mario. L’amore per la poesia, per la bellezza del creato. L’amore per i propri ideali: gli ideali del comunismo che Mario abbraccia, rischiando prima di mettere a repentaglio il suo futuro con Beatrice, poi la vita, trovando la morte in un pestaggio con la polizia in occasione di un comizio in cui avrebbe dovuto leggere una sua poesia. Mario, infatti, impara ad amare la poesia, prova a comporre e, alla fine, riesce nel suo intento, mettendo su carta pensieri ed emozioni che non era mai riuscito a tirare fuori.
Massimo Troisi con Gerardo Ferrara, la sua controfigura. |
Ma l’amore più grande, più forte, esula dalla trama. È l’amore di Massimo Troisi per questo film: voluto, sudato e contrastato dalla malattia. Massimo Troisi aveva letto il libro, “Il postino di Neruda” di Skàrmeta, ne era rimasto affascinato. Così decise di comprarne i diritti e di portarlo sul grande schermo. Lavorò personalmente alla sceneggiatura con Age & Scarpelli, fu sua la scelta del regista, Michael Radford, e degli attori, dal simpatico e sornione Philippe Noiret all’esordiente Maria Grazia Cucinotta. Ma soprattutto mise tutto se stesso nella sua interpretazione. Il suo cuore, ormai, non andava più, eppure lui riuscì a farlo battere ancora un po’, aiutato dalla produzione, dai familiari e da Gerardo Ferrara, la sua controfigura, che compì un doppio atto d’amore a sua volta: affiancò Troisi nel suo ultimo capolavoro e diede a suo figlio, nato qualche mese dopo la fine delle riprese la morte dell'attore, il nome di Massimo. Così come Mario nel film, che decide di chiamare suo figlio Pablito in onore dell’amico poeta.
La locandina. |
Realtà e finzione, in sostanza, si mescolano in un armonico disegno in cui l’amore, come abbiamo visto, nutre ogni cosa. E se l’amore non basta, come spesso si dice, è sufficiente aggiungerci un po’ di testardaggine napoletana, un po’ di “cazzimma”, per riuscire. Troisi non si è arreso fino alla fine. Il suo cuore malconcio, sofferente, ma pieno d’amore smise di battere solo a riprese terminate. Era il 4 giugno 1994: tre mesi dopo, il 22 settembre, Il postino usciva nelle sale italiane con la sua carica di commozione, malinconia e amore. L’amore profondo di Massimo Troisi per la vita e per le belle storie. Un sentimento che noi, trent’anni dopo, possiamo ricambiare in un solo modo: riguardando il film e imparando ad amare, davvero.
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