K2 1954: IL MIRACOLO ITALIANO
L’Italia degli anni ’50 era povera, umile, democristiana e votata alla santità. Per la semplice ragione
che sopportare gli stenti, la fame, i dolori e le sofferenze in un paese costretto alla gogna dai vincitori
di una guerra (la Seconda guerra mondiale) che il popolo aveva subito più che voluto, significava possedere la pazienza, la forza e forse anche la rassegnazione stoica di un santo. Proprio per questo motivo, un popolo sì fatto non osa non gridare al miracolo nel momento in cui l’impossibile diventa possibile. Quando, cioè, l’uomo sfida le leggi della natura, della fisica, della gravità, prima di quelle della fisiologica paura, per portare a termine un’ impresa destinata a cambiare la storia del nostro Paese.
Il 31 luglio 1954, sulla vetta del K2, la seconda montagna più alta del mondo, il Tricolore sventolava gagliardo e orgoglioso, portato in cima da due dei tredici alpinisti italiani che, da due mesi e mezzo, avevano dato inizio a quella che sembrava una battaglia perduta in partenza. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, forti, vigorosi, allenati in testa e corpo sui rilievi più impervi delle nostre Alpi, raccontarono al mondo intero che gli italiani, quando vogliono, sanno rendersi protagonisti di gesta eroiche. Come superare oltre ottomila metri di rocce e ghiacciai di un luogo sacro e fino ad allora inviolato, situato tra il Pakistan e la Cina. Tra campi base e cordate, bivacchi all’addiaccio e pareti scoscese, la spedizione guidata dal geologo Ardito Desio, al tempo uno dei massimi esperti e studiosi di geologia e geografia del mondo, portò a compimento un progetto che aveva come scopo implicito quello di riscattare l’Italia dopo la Conferenza di Yalta, che di fatto aveva posto il nostro Paese in una posizione di subordinazione, tra la “protezione” degli Stati Uniti e la “minaccia” di una invasione da parte dell’Unione Sovietica. Nessuno, probabilmente, avrebbe mai scommesso sull’Italia. Ma soprattutto, era difficile che essa ottenesse l’autorizzazione a tentare un’impresa considerata al tempo stesso rischiosa e "gloriosa". Fu infatti Desio, promotore della spedizione con i patrocini del Club Alpino Italiano e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, a rendere possibile quella che sembrava una prova di forza dell’uomo che osa opporsi alla natura e vince in una sorta di rivalsa. Ebbene, settant’anni fa, quel riscatto ci fu, ma in quella vicenda c’è stato per anni un lato oscuro. Quello che ha visto discutere, accusare, omettere, ritrattare e ostinarsi quattro dei protagonisti di quell’impresa: Desio, Compagnoni e Lacedelli da una parte e l’allora astro nascente dell’alpinismo italiano, Walter Bonatti, dall'altra. Quest'ultimo, infatti, insieme all'alpinista pakistano Amir Mahdi, era incaricato di portare le bombole d'ossigeno necessarie ai due alpinisti. Se non che, Compagnoni e Lacedelli spostarono di propria volontà la loro tenda rispetto alla posizione concordata con Bonatti, costringendolo a passare la notte completamente allo scoperto. Così, il mattino dopo, recuperate le bombole lasciate da Bonatti, Lacedelli e Compagnoni raggiunsero la vetta da soli, portando a termine l'impresa che varrà loro una medaglia d'oro al valor civile. Compagnoni e Lacedelli, invece, dissero che il giovane alpinista aveva cercato di manomettere le bombole per arrivare per primo e da solo in vetta. Ardito Desio, che alla fine dell’impresa redasse una relazione sui fatti, diede ragione ai due vittoriosi alpinisti, e Walter Bonatti tornò da quell’esperienza deluso e amareggiato. Una amarezza addolcita, se così si può dire, quasi cinquant’anni dopo, quando finalmente il Club Alpino Italiano riconobbe la sua verità. Ma tutto questo non cancellò di fatto il peso, l’importanza e il valore di quella conquista umana, per il Paese e per il suo popolo. E forse proprio “il” Bonatti, nelle pagine dei suoi libri, tra i suoi appunti, spiega il perché quell’impresa, settant’anni dopo, continua ad essere un orgoglio mai sopito: “Certi momenti si vivono con tale intensità che non li perdi più. Non esistono “tue” montagne, ma tue esperienze; sulle montagne possono salirci altri, ma le tue esperienze non te le tocca nessuno”. Da allora su quella vetta ci sono saliti tanti altri, dalle nazioni più diverse. Probabilmente con meno fatica, con maggior consapevolezza, ma di sicuro con meno coraggio e sprezzo del pericolo. Ciononostante, il K2 continua ad essere “la montagna degli italiani”, la testimonianza viva di quell’esperienza. Il vero “miracolo” probabilmente è questo.
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