MIKE, IL "FENOMENO" BONGIORNO
Umberto Eco gli dedicò un saggio - fortemente polemico - agli albori della sua carriera. Fiorello ne ha fatto una imitazione entrata negli annali della storia radiofonica consacrandolo alle nuove generazioni (ma parliamo di vent'anni fa). Il pubblico lo ha decretato unanime "Re" del quiz televisivo. Ma per tutti, nessuno escluso, è sempre stato semplicemente una persona di famiglia. Dire Mike Bongiorno equivale a rievocare ore, minuti e attimi di storia televisiva nazionale. Lui che era nato a New York, un secolo fa - il 26 maggio 1924 -, ma che proprio in Italia, a Torino, era cresciuto, iniziando a lavorare come giornalista già prima della Seconda guerra mondiale, che lo vide partigiano e anche prigioniero dei tedeschi (finì a San Vittore, dove conobbe Indro Montanelli).
Ma il suo accento italo-americano, ben presto, scomparve per lasciare il posto a un idioma perfettamente italico, adatto per approcciare i primi milioni di telespettatori che attendevano con ansia la scomparsa del Monoscopio e l'inizio delle trasmissioni, che nel 1954 fu proprio Mike Bongiorno ad inaugurare con "Arrivi e partenze". Ma a fare di Mike Bongiorno una star, lo dicevamo, è stato il telequiz, il primo di una lunga serie che lo ha visto crescere, appassionarsi, migliorare e infine invecchiare davanti a concorrenti più o meno agguerriti, più o meno loquaci in trepidante attesa di accaparrarsi il lauto premio. In principio fu "Lascia o raddoppia?", con Edy Campagnoli, le tre buste e una Fiat 600 come premio di consolazione. Era il 1955. Poco meno di vent'anni dopo arrivò invece il "Rischiatutto": più moderno, più dinamico ma altrettanto iconico, con Sabina Ciuffini, il Signor No, il "Fiato alle trombe" e la celeberrima signora Longari. Poi, pian piano, dal bianco e nero si passò al colore e Mike Bongiorno compì il grande passo: la tv commerciale. Silvio Berlusconi si accaparrò il buon Mike affidando a lui quella fetta di pubblico amante delle cifre da capogiro conquistate a colpi di vocali da comprare, ruote da girare e pulsanti da pigiare prima del gong. "Superflash", "Telemike", "La ruota della fortuna", "Genius" - dedicato ai piccoli geni - permisero a Mediaset di rompere definitivamente il monopolio della Rai, mentre per lui furono una conferma di quella "Fenomenologia di Mike Bongiorno" di cui nel 1963 aveva parlato Eco, definendo il conduttore come un "trionfo della mediocrità" che il pubblico idolatrava e in cui esso si riconosceva poiché altrettanto mediocre. Aveva ragione? Su una cosa di sicuro. Mike Bongiorno è stato e resta un "fenomeno". Un fenomeno d'eleganza, di gentilezza, di savoir faire e diplomazia - undici Festival di Sanremo, l'ultimo nel 1997, lo hanno consacrato sull'olimpo dei presentatori della kermesse musicale -, di autoironia. Con Fiorello, che lo imitava perfettamente dai microfoni di "Viva Radio 2", diede vita a un sodalizio che rappresentò per lui un riscatto generazionale. E così, tra i nonni che lo ricordavano in bianco e nero, i figli che lo avevano visto a colori nel passaggio tra la Rai e Mediaset, c'erano anche i nipoti a piangerlo, l'8 settembre 2009. Generazioni diverse, con idee diverse, gusti diversi ma una comune convinzione. Quel conduttore lì, biondo, con gli occhi azzurri e il saluto "allegro" ci mancherà. E infatti ci manca.
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