VITTORIO METZ, L’IRONIA DELLA PAROLA
“Quanto è forte la morte! Non ho argomenti sufficienti per controbatterla!”. Sembrerebbe la battuta di una farsa e invece è una frase reale. Con queste parole, infatti, Vittorio Metz, tra i più grandi, ironici e leggendari umoristi italiani, si congedava dalla vita quarant’anni fa, il 4 marzo 1984, come raccontarono le sue figlie. Questa frase, comicamente geniale e incline all’ironica rassegnazione, non poteva che fuoriuscire dalla bocca e dalla mente di chi ha fatto ridere per decenni, passando dalle riviste umoristiche alla commedia farsesca e alla televisione.
Classe 1904, romano, Vittorio Metz iniziò la sua carriera come umorista: dal “Corriere dei Piccoli” alla "Tribuna illustrata" fino al leggendario “Marc’Aurelio” passando per il “Bertoldo”, rivista che contribuì a fondare. Ma proprio al “Marc’Aurelio”, fucina di “penne” come Steno, Zavattini, Age & Scarpelli e Fellini, Metz incontrò l’altra metà della mela: Marcello Marchesi. È con quest’ultimo, infatti, che Vittorio Metz diede inizio ad una proficua collaborazione che li portò per quasi cinquant’anni a scrivere pagine e pagine di cinema e varietà, anche televisivi ("Giovanna, la nonna del Corsaro Nero").
Marchesi & Metz. |
La coppia Marchesi & Metz sfornò commedie su commedie, a volte occupandosi soltanto del soggetto e della sceneggiatura, a volte mettendosi essa stessa dietro la macchina da presa, come nel caso di alcune esilaranti commedie interpretate da Walter Chiari, come “Era lui, sì, sì!” e “Lo sai che i papaveri”.
Ma i loro nomi si fondono insieme a quelli di molti altri sceneggiatori e registi come Steno, Camillo Mastrocinque, Giorgio Simonelli, Mario Mattòli, coi quali realizzarono pellicole interpretate da Totò, Macario, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Aldo Fabrizi, Memmo e Mario Carotenuto e tanti, tanti altri. Film ancora oggi amati e riguardati con nostalgia, merito di una comicità semplice o articolata ma sempre “pura” e basata soprattutto sulla parola.
L’ironia della parola, del gioco verbale spesso unito alla mimica e alla gestualità degli interpreti, in un sapiente guazzabuglio di frasi e interpretazioni magistralmente scritte prima ancora di essere messe in scena. Perché la scrittura, di qualunque forma essa sia - farsesca, poetica o prosaica -, è ciò che dura in eterno, specialmente in un film, dove si unisce alle immagini. E se questo è vero, come è vero, allora Vittorio Metz, tra serio e faceto, la sua battaglia “verbale” con la morte l’ha vinta!
Commenti
Posta un commento