Passa ai contenuti principali

 IL “GRANDE” SALERNO


Un Grande. Un Grande del palcoscenico, del cinema, anche della televisione. Un Grande artista, versatile, competente, appassionato. Grande come il vuoto che ha lasciato trent'anni fa, quando un tumore se lo portò via troppo presto. Ma oggi, di Grande, c'è solo l'oblio. Quello che ha travolto Enrico Maria Salerno a dispetto di una vita e di una carriera perennemente sotto i riflettori. 




Dai successi in palcoscenico alle vicende sentimentali, tra figli, mogli, matrimoni e flirt di un certo livello. La passione, dopo tutto, è ciò che lo ha sempre contraddistinto. 


Enrico Maria Salerno, Umberto Orsini e Sarah Ferrati in "Chi ha paura di Virginia Woolf?" (1963), regia di Franco Zeffirelli. .


La passione per il teatro, che lo ha visto fin dagli anni ’40 cimentarsi con Shakespeare, Eschilo, Moliére e Dostoevskij, passando dalla compagnia Adani-Tofano  al “Piccolo” di Milano con Strehler, fino a fondare con Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia l’innovativa compagnia “Attori Associati”, improntata su opere di impegno civile. 


Enrico Maria Salerno con Gino Cervi ne "La lunga notte del '43" (1960) di Florestano Vancini.


Ma l’impegno è stata una costante della sua carriera. Enrico Maria Salerno era un professionista del mestiere. Che si trattasse di teatro, cinema o televisione, i suoi sforzi di perfezione erano i medesimi. 


Enrico Maria Salerno con Valeria Valeri nello sceneggiato "La famiglia Benvenuti" (1969-1970) di Alfredo Giannetti. 


È così che risultava credibile nei panni del professor George in "Chi ha paura di Virginia Woolf?" nella rappresentazione diretta da Zeffirelli nel 1963. Nei panni di un farmacista reso paralitico dalla sifilide ne “La lunga notte del ’43” di Vancini, in quelli di un borghese padre di famiglia degli anni ’60 nello sceneggiato Rai “La famiglia Benvenuti” di Giannetti, oppure ancora in quelli dello zio Aliprando, l’eccentrico ladro-gentiluomo che addestra i “nipotini” (Banfi, Boldi e Villaggio) alla dura vita del crimine nel dittico “Scuola di ladri” di Neri Parenti. 


Da sinistra, Lino Banfi, Enrico Maria Salerno, Massimo Boldi, Paolo Villaggio e Antonio Barrios in "Scuola di ladri" (1986) di Neri Parenti.


Così come era credibile la sua calda voce sul volto di Clint Eastwood nei western di Leone. Impegno e passione, le due costanti della sua vita in cui tutto era possibile. 


Enrico Maria Salerno con Benedetta Buccellato in "Morte di un commesso viaggiatore" (1993-1994), regia dello stesso Salerno.


Perché non c’era nulla, dal punto di vista artistico, che Salerno non fosse in grado di fare. Il teatro, però, quello rimase fino alla fine la sua più grande passione. Il suo ultimo “impegno” fu proprio quello: "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller. Avrebbe voluto, come tutti i Grandi, morire in scena, quel 28 febbraio 1994. E invece no, se ne andò in un letto d’ospedale, come un uomo qualunque. Ma di “qualunque”, oltre la sua scomparsa, nella sua vita non ci fu altro.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...