TI SENTO, FEDERICO!
"Non bisogna accanirsi a capire, ma cercare di sentire, con abbandono". In queste parole si cela il segreto per comprendere la sua missione cinematografica. Sentire, non capire. Lasciarsi travolgere dall'onda emotiva generata da immagini, dialoghi e scenografie. Federico Fellini non ha mai preteso di essere "compreso". Piuttosto voleva offrire "suggestioni".
La crepuscolare e malinconica abulia de "La dolce vita", le atmosfere surreali di "8 1/2", i ricordi giovanili di "Amarcord", il provincialismo de "I vitelloni", il neorealismo de "Le notti di Cabiria", la tenerezza di "Ginger e Fred", il grottesco illusionismo de "La città delle donne" non possono essere capiti fino in fondo. Ognuno avrà sempre una sua personale interpretazione, un suo giudizio di valore, di bellezza o di bruttezza. Ma ciò che accomuna tutti è la consapevolezza di assistere, davanti a quelle messe in scena lavorate nei minimi dettagli, a qualcosa di incredibilmente coinvolgente, nel bene e nel male. Sono trascorsi trent'anni da quel 31 ottobre 1993, quando il maestro Fellini si strinse la sciarpa rossa intorno al collo, si calcò il borsalino in testa e passò in un'altra dimensione in cerca di nuovi spunti narrativi. Cosa stia realizzando Lassù possiamo solo immaginarlo, ma una cosa è certa: sarebbe sicuramente contento di sapere che Quaggiù nessuno ha smesso di apprezzarlo e di "sentirlo" e lo grida a chiare lettere: ti sento, Federico, ti sento!
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