ABEBE, I "PIEDI" DEL RISCATTO
Nella ex capitale dell'"Impero" fascista che aveva soggiogato il suo popolo, egli ebbe la sua redenzione. A piedi nudi sui sampietrini della Città Eterna, il suo agile ed elegante profilo scuro segnò una tappa fondamentale nella storia delle imprese umane. Abebe Bikila, ventotto anni, vinceva l'oro alle Olimpiadi di Roma, concludendo una corsa cominciata nella sua Etiopia e volta a rafforzare nel mondo la convinzione che non esistono uomini superiori e inferiori, come il colonialismo aveva fatto credere.
Esistono invece soltanto uomini, più o meno coraggiosi, più o meno audaci ma tutti in grado di rendersi protagonisti di grandi imprese: perfino a piedi nudi, correndo tra antiche rovine e palazzi storici nella vecchia Roma che, piano piano, col "boom economico", si stava ingrandendo a dismisura (e con poco criterio). Era il 10 settembre 1960 quando Abebe Bikila divenne un eroe. Un eroe che sembra invincibile, in grado di bissare la sua "aurea" vittoria nel 1964, alle Olimpiadi di Tokyo. E pronto a triplicare, nel 1968, a Città del Messico, quando però fu costretto ad abbandonare la gara per problemi fisici. Ma Abebe Bikila non si sarebbe arreso. Lui apparteneva a un popolo abituato ad incassare, a cadere e rialzarsi, a lottare. Era un militare, membro della guardia imperiale etiope. Non immaginava minimamente quello che sarebbe accaduto appena un anno dopo. Nel marzo 1969, infatti, un incidente stradale lo lasciò paralizzato dalla vita in giù. Quelle gambe lunghe, magre, agili, non si sarebbero mosse più. Bikila, però, aveva una sua dignità. Sulla sua carrozzella, tra campionati paralimpici (tiro con l'arco) e visite di controllo a Londra nella speranza di curarsi, Abebe conservò la tenacia e la forza d'animo che l'avevano contraddistinto. La sua vita, breve ma intensa, si concluse cinquant'anni fa, il 25 ottobre 1973, per una emorragia cerebrale, ma la sua storia di riscatto e di bellezza prosegue altrove, tra le nuvole. Sempre di corsa, a piedi nudi, in un silenzio che fa rumore.
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