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 ELENA FABRIZI: PILLOLE DI ESISTENZA UMANA


Sul suo volto rotondo e pacioso, le rughe segnavano il ritmo di una vita intensa e faticosa.  Per Elena Fabrizi, per tutti "Sora Lella", sorella minore dell'indimenticato Aldo, la dolcezza arrivò al crepuscolo, dopo aver ingoiato tanti bocconi amari. Classe 1915, ultima di sei figli, orfana di padre a due anni, Elena Fabrizi venne praticamente cresciuta dalla madre e dal celebre fratello primogenito in una Roma inimmaginabile per chi la vede ora. Quella di Campo de' Fiori, dei fruttaroli e degli artigiani, dei vetturini come suo padre, e della saggezza romana in parole e sapori. Elena Fabrizi amava recitare. 



E non tanto per particolari doti artistiche. Lei amava farlo perché la sua vita si svolgeva su un perenne palcoscenico: quello della quotidianità. Fatta di un marito, di figli (e poi nipoti) da accudire, di pranzi luculliani da preparare a base di amatriciane e abbacchi scottadito. Dalla trattoria a Campo de' Fiori al celebre ristorante sull'Isola Tiberina (oggi gestito dai nipoti). Quella ricchezza di aneddoti, consigli, parolacce e tenerezza, Sora Lella riuscì a portarla in scena. Aveva esordito con Monicelli nel 1958, nel ruolo di una delle tre "mamme" di Renato Salvatori ne "I soliti ignoti", e con il fratello Aldo aveva recitato in un cameo ne "I tartassati" (1959) di Steno e in "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi" (1960) di Mattòli. Ma si trattava di poche pose, giusto qualche battuta. Così, Elena Fabrizi continuò la sua vita tranquilla per le vie della Capitale, muovendosi con dolcezza e grazia tra i tavoli di un ristorante e la cucina di casa, piena di bambini da crescere e nutrire, in corpo e anima. 


GLI ESORDI. In alto, da sinistra, Renato Salvatori, Elvira Tonelli ed Elena Fabrizi ne "I soliti ignoti" (1958) di Mario Monicelli.
In basso, da destra, Elena Fabrizi, Totò e Aldo Fabrizi ne "I tartassati" (1959) di Steno.


Del fratello Aldo, che già al tempo era ai vertici di una carriera brillante, tra teatro, cinema e Tv, aveva sempre avuto un po' di soggezione, e per quanto qualche piccola occasione gliela diede (fu al suo fianco anche in "C'eravamo tanto amati" di Scola, nel 1974), forse non capì che lei avrebbe davvero voluto fare l'attrice. O meglio, come dicevamo, portare in scena la sua vita. C'è però una frase legata a uno storico programma educativo che sintetizza al meglio l'esperienza di Elena Fabrizi: non è mai troppo tardi. Non è mai troppo tardi per realizzare un sogno. Elena Fabrizi, infatti, alla fine riuscì a raccontare se stessa. Iniziò con Costanzo ospite di "Bontà loro", con le casalinghe che si sintonizzavano su "Radio Lazio" in cerca di consigli, lamentando mariti fedigrafi e disservizi dei mezzi pubblici. E poi arrivò lui, Carlo Verdone, che l'aveva ascoltata in radio e si era innamorato di quella voce caciarona, dolce e libera, anche nel suggerire "pizze" e "calci in culo" per risolvere i problemi più disparati.


LA CONSACRAZIONE CON VERDONE. In alto, Elena Fabrizi in "Bianco, rosso e Verdone" (1981).
In basso, Elena Fabrizi con Carlo Verdone in "Acqua e sapone" (1983).


Era il 1981: con un vestito a pallini, un ventaglio in mano e lo sfogo col gesto dell'ombrello dopo aver ammazzato una mosca che disturbava la sua sosta in auto, Elena Fabrizi, nei panni della nonna di Mimmo, diretta da Verona a Roma per "votare comunista", diventò subito una star del cinema. "Bianco, rosso e Verdone" le valse un Nastro d'argento e l'ovazione estasiata del grande pubblico che scopriva questa donna grossa, materna e amorevole, ma anche irascibile e impertinente. Ma il meglio di sé (a mio parere) lo diede due anni dopo, sempre diretta da Verdone in "Acqua e sapone". Ancora una nonna, la sora Ines, che cerca in tutti i modi di distogliere il nipote Rolando dal fingersi prete per trovare lavoro come precettore di una baby-modella americana. Un David di Donatello e la consacrazione eterna. Elena Fabrizi ce l'aveva fatta. Accanto al cinema arrivarono anche la televisione, tra ospitate al "Maurizio Costanzo Show" e programmi di cucina, e il teatro. Purtroppo, però, la sua salute, specchio di una esistenza di fatica, privazioni e dispiaceri, compromessa già dal diabete, era ormai al capolinea. Il 10 luglio 1993 venne ricoverata al Fatebenefratelli di Roma per un'ischemia cerebrale, entrando subito in coma. Non ci fu niente da fare. Quella vita fatta di piatti prelibati e porzioni abbondanti, di pupi da accudire e sculacciare con affetto, di desideri e di speranze, si spense il 9 agosto, trent'anni fa. Il sogno della Sora Lella, però, prosegue. Prosegue nel suono della sua grassa risata, nelle sue lapidarie battute e in quelle pillole di esistenza umana consegnate per sempre alla storia italiana, cinematografica e non.

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