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 GIUSTINO DURANO, NOBLESSE OBLIGE


Il cinema lo scoprì a fine carriera, nelle vesti di Eliseo, l'anziano zio di Benigni in quel piccolo capolavoro di umana dolcezza de "La vita è bella" (1997), guadagnandosi un bel Nastro d'argento. Ma di applausi, consensi e fama Giustino Durano ne aveva avuti a bizzeffe in anni e anni di indefessa dedizione al palcoscenico. 



Nato a Brindisi un secolo fa - il 5 maggio 1923 -, Durano fece una lunga gavetta tra avanspettacolo e varietà, il suo habitat naturale, tra battute, stacchetti di ballerine e risate a profusione. Con Dario Fo e Franco Parenti diede vita a un trio che nei primi anni '50 raccolse ovazioni in spettacoli come "Il dito nell'occhio" e "Sani da legare". 


Dall'alto, Dario Fo, Giustino Durano e Franco Parenti.


Passò poi al teatro di prosa con Strehler al "Piccolo" di Milano, cimentandosi con Brecht e Gor'kij. Nel frattempo, apparve anche al cinema, ma sempre in ruoli marginali, pur lavorando con registi di un certo spessore, come Lizzani e De Sica. 


Da sinistra, Durano, Giancarlo Giannini e Silvio Bagolino nello sceneggiato "David Copperfield" (1965) di Anton Giulio Majano.


Il piccolo schermo, invece, lo accolse insieme a molti altri attori di teatro nei grandi sceneggiati, come "David Copperfield" di Majano, dove riuscì a caratterizzare con simpatia lo strampalato Jorkins, datore di lavoro del giovane protagonista. 


Da sinistra, Giustino Durano, Roberto Benigni e Giorgio Cantarini ne "La vita è bella" (1997) dello stesso Benigni.


Ma la sua vera passione rimase fino alla fine il palcoscenico, dove il suo volto nobile e la sua lunga figura simpatica e signorile ottennero la più pregevole collocazione, anche in opere scritte e dirette da lui, come "E io le dico..." andato in onda un anno prima della sua scomparsa, avvenuta per un cancro il 18 febbraio 2002. Una carriera lunga mezzo secolo che merita di essere conosciuta e ricordata, anche in onore di un volto aristocraticamente ironico. Dopotutto, noblesse oblige.





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