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 CONGRATULAZIONI, ENRICO!


Una volta si chiamavano commedie farsesche o film commerciali, poi sono diventati "B-movie". Una volta erano interpretate da Totò e Fabrizi, da Sordi e la Valeri, poi da Pozzetto e Abatantuono, Mattioli e Buccirosso. Prima erano dirette da Stefano Vanzina, in arte Steno, poi dai suoi figli, Carlo ed Enrico. Cos'è cambiato? Al di là dei tempi, degli attori, degli usi e dei costumi italici, nulla. Si è sempre storto il naso di fronte a quei film popolati da grandi caratteristi - oggi rari - e gentili primattori. Film che il pubblico ama tanto, perché fanno divertire, distraggono dalle preoccupazioni del mondo, dalle proprie miserie. Film a volte girati a basso costo. 



E anche quando registi e sceneggiatori come i Vanzina sono andati oltre il filmetto di facili incassi (Steno inaugurò il poliziottesco anni '70 e si diede anche al giallo, i figli hanno sperimentato la "commedia all'italiana" e anche il drammatico), sono sempre stati considerati autori per un pubblico sempliciotto. Sappiamo cosa si pensava dei film di Totò (a Steno toccò la stessa nomea di Mastrocinque, altro regista "di grido" di quell'epoca "farsesca"), e la stessa sorte - sempre con le dovute proporzioni - è toccata ad attori validissimi, come Maurizio Mattioli o Carlo Buccirosso. Proprio per questo, ciò che accade stasera è una grande rivincita per una famiglia che ha dato tanto al cinema italiano e che forse avrebbe meritato molto, ma molto di più. E non mi riferisco alla riconoscenza del pubblico - che non è mai mancata - ma soprattutto a quegli applausi che una certa critica è sempre restia a concedere. Ebbene, il David speciale che riceve Enrico Vanzina, figlio di Steno e fratello del compianto Carlo, rappresenta una vittoria per una categoria di cineasti che ha sempre regalato emozioni ripagate, spesso, con una freddezza eccessiva. Esistono generi e categorie, vari e differenti. I Vanzina hanno giocato la loro partita in una categoria forse poco blasonata, ma nobilissima d'intenti, in grado nella maggior parte dei casi di dipingere affreschi del Belpaese come nessun regista "impegnato" ha mai fatto. Cosa sarebbe stato il cinema italiano senza "Guardie e Ladri", "Totò a colori", "Un americano a Roma", "Piccola posta", "Totò diabolicus", "Piedone lo sbirro", "Febbre da cavallo", "Fico d'India", "Sapore di mare", "Vacanze di Natale", "Amarsi un po'", "I mitici: colpo gobbo a Milano", "Il pranzo della domenica", "In questo mondo di ladri". Un filo che congiunge Steno a Carlo ed Enrico, dal Dopoguerra ai primi anni Duemila, dal bianco e nero al colore. Li congiunge un filo fatto di maestria, battute sapientemente scritte (o spontaneamente espresse), di piccoli-grandi protagonisti, caratteristi di razza, scenografie superbe, budget sempre bassi ma mai inadeguati a produrre capolavori. Oggi si scrive una pagina importante, di cinema e di storia del cinema, di battaglie combattute a colpi di risate e di cinepresa. Una pagina che resterà indelebile nella memoria e che serve anche a ricordare chi non c'è più, ma c'è stato e ha lasciato il segno. Con garbo, sapienza, stile e ironia. Quest'articolo è scritto prima col cuore, poi con la mente e la passione del cinefilo. E con il cuore, ricordando il grande Steno e abbracciando idealmente Carlo Vanzina, voglio fare i miei sinceri complimenti a chi, con le sue mani, accoglierà questo premio anche a nome loro. Congratulazioni, Enrico!

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