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 DAMIANO DAMIANI, CINEPRESA "CIVILE"


Sono trascorsi dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 7 marzo 2013, ma i suoi film - una sorta di testamento spirituale - continuano a parlare per lui. Damiano Damiani è stato uno di quei grandi, straordinari cineasti che, tra gli anni '60 e '80, avevano compreso come il cinema potesse essere uno strumento di educazione al vivere sociale, al non lasciarsi ingannare dall'apparenza, all'indagare tra le pieghe della realtà alla ricerca di quella verità che ha un solo modo d'essere - come avrebbe detto Rousseau - ma che può essere interpretata in mille modi, il più delle volte errati. Classe 1922, veneto, Damiani si mise per la prima volta dietro la macchina da presa alla fine degli anni '40, realizzando alcuni documentari. 




Esordì come regista cinematografico con "Il rossetto" (1960), un poliziesco di matrice neorealista, interpretato da uno straordinario Pietro Germi, ma fu soltanto col cinema "impegnato" che Damiani riuscì a trovare la sua vera vocazione. Da "Il giorno della civetta" (1968), tratto dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia, con Franco Nero e Claudia Cardinale, a "Pizza Connection" (1985), ispirato all'inchiesta del traffico di droga tra Palermo e New York, la Mafia venne pubblicamente messa alla berlina, svelandone segreti e atrocità, e portando alla luce un universo ancora sconosciuto. 


In alto, Claudia Cardinale e Franco Nero ne "Il giorno della civetta" (1968).
In basso, Gian Maria Volonté ed Erland Josephson in "Io ho paura" (1977).




Così come sul grande schermo, in anni difficili, tra terrorismo, violenze, abusi e corruzione Damiani presentò film che denunciavano chiaramente uno Stato in preda al Male, tra ingiustizia, omertà e loschi rapporti tra sistema giudiziario, forze di polizia e criminalità organizzata, bene evidenziato in pellicole come "Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica" (1971), ancora con Franco Nero, e "Io ho paura" (1977), con Gian Maria Volonté. 


Michele Placido con Mark Chase in "Pizza Connection" (1985).

Più che film vere e proprie inchieste, che tra espedienti e personaggi immaginari permettevano allo spettatore non interessato al mero intrattenimento, di conoscere ciò che succedeva intorno a lui. Una cinepresa arguta e "civile" quella di Damiano Damiani, che insieme a Francesco Rosi, Giuseppe Ferrara, Elio Petri e Florestano Vancini ha saputo svelare con fedeltà e onestà il volto oscuro della nostra società, quello che (in fondo) molti si ostinavano a non vedere.

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