MASSIMO TROISI, L'IRONIA DI UNA MALINCONICA "CAPA"
"'Na capa" ricciuta. "'Na capa" ricciuta che non smetteva di farsi domande, di cercare risposte, di interrogarsi sui problemi della vita. "'Na capa" orgogliosa delle sue origini napoletane che non tradì mai, parlando sempre in quella lingua che (al tempo) tale non era, ma che forse lo sarebbe diventata anche grazie a lui. Massimo Troisi, sotto quella "capa" piena di scuri ricci e dietro quel gesticolare frenetico, racchiudeva un mondo intero. Quello della gioventù meridionale degli anni '80, perduta tra disoccupazione e sogni di gloria, tra timidezze e insicurezze, tra superstizioni e modernità.
Un universo di comicità popolare e arguta che dai palcoscenici della sua San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli, dove nacque settant'anni fa, portò in prima serata a "Non stop" (1977), la celeberrima trasmissione di Enzo Trapani che lo lanciò assieme ai suoi giovani compagni d'arte: il piccolo e barbuto Lello Arena e il "bello" Enzo Decaro. Con "La Smorfia", tra evangeliche "Annunciazioni" e dialoghi sarcastici con San Gennaro o il Padreterno, Massimo Troisi portò in televisione sketch collaudatissimi sul palcoscenico, raccontando quel rapporto "vis-à-vis" tra devoti e santi tipico del popolo meridionale. E quella gestualità musicale, quella saggezza semplice e antica raggiunse l'apoteosi nel 1981, quando quella "capa" ricciuta comparve sul grande schermo auto dirigendosi in "Ricomincio da tre": una sorta di antologia concentrata dei suoi personaggi, attraverso l'immagine di Gaetano, disoccupato napoletano, timido, impacciato con le donne, che lascia la famiglia, il lavoro e gli amici per "ricominciare" da queste tre cose e costruire il proprio futuro.
"La Smorfia". Da sinistra, Lello Arena, Massimo Troisi ed Enzo Decaro. |
Ma se Gaetano, il suo alter ego, ebbe difficoltà, per Massimo, da quel momento, si aprirono le porte del successo. Da "Scusate il ritardo" (1983) a "Pensavo fosse amore...invece era un calesse" (1991), passando per "Non ci resta che piangere" (1984), Troisi divenne in breve tempo uno dei giovani più promettenti nel panorama cinematografico nazionale, riuscendo anche a sganciarsi dal suo "mondo" di comicità partenopea. A scoprire il suo talento oltre la "maschera" fu Ettore Scola, che lo affiancò ad un maturo e affascinante Marcello Mastroianni in "Splendor" e "Che ora è" (1989), dove quel lato malinconico di Troisi trovò la più giusta collocazione. Tuttavia l'apice della sua crescita è rappresentato dall'ultimo film. Un progetto voluto, sudato e contrastato dalla malattia.
In alto, Massimo Troisi con Lello Arena in "Ricomincio da tre" (1981) dello stesso Troisi. In basso, con Marcello Mastroianni in "Che ora è" (1989) di Ettore Scola. |
Massimo Troisi, infatti, vide la sua brillante esistenza, fatta di gloria, riconoscimenti, applausi e amori - piaceva molto alle donne - avversata dai suoi problemi di cuore. "Il postino", uscito nelle sale dopo la sua scomparsa, fu una sorta di testamento spirituale. Nei suoi dialoghi con Philippe Noiret nei panni del poeta Neruda, Massimo Troisi rivelò a tutti una sensibilità profonda, che nei film precedenti era già presente ma sovente offuscata dalla malinconica ironia della sua maschera d'attore.
Massimo Troisi con Philippe Noiret ne "Il postino" (1994) di Michael Radford. |
Era un film a cui teneva molto, e che gli costò tanta fatica. I suoi problemi di cuore si erano aggravati, ma lui decise di portare avanti quel progetto, sostenuto dalla produzione e dalla sua personale controfigura, Gerardo Ferrara - che girò tutte le scene in bicicletta. Il suo cuore resistette fino alla fine delle riprese, permettendogli di realizzare il suo ultimo desiderio, per poi fermarsi, di colpo, qualche giorno dopo, il 4 giugno 1994.
Ma, in fondo, la sua "anima" non ha mai smesso di raccontarsi. I suoi dubbi, le sue perplessità, le sue goffaggini sono ancora le nostre. Massimo Troisi è qui tra noi, con i suoi film, le sue battute, il sorriso ingenuo e quella "capa" ricciuta specchio della sua confusa e sagace ironia.
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