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 BEPPE ALFANO: "ESSERE" GIORNALISTA


C'è differenza tra "fare" il giornalista ed "essere" un giornalista? Direi di sì. Chi fa il giornalista è uno che possiede un tesserino e scrive, riportando fatti, raccontando eventi, più o meno bene, con o senza passione. Essere giornalista, invece, significa scrivere con passione, prima di tutto per se stessi, poi per gli altri. Magari senza neanche ottenere un riconoscimento legale per quel che si scrive, eppure lavorando per la ricerca della verità e per amore del proprio mestiere. Ecco, Beppe Alfano "era" un giornalista. Lo era perché lo faceva esclusivamente per passione. Militante nell'MSI, insegnante di educazione tecnica, aveva anche lavorato al Nord, prima di rientrare nella sua Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto - dove nacque il 4 novembre 1945 -, nel messinese, per insegnare in una scuola media della stessa provincia. Beppe Alfano, però, amava il giornalismo, e incominciò a farlo nelle radio e nelle Tv private alla fine degli anni '70. Era bravo, e ben presto iniziò a scrivere anche per la carta stampata. 



Alfano sapeva che la provincia di Messina, contrariamente a quanto si credeva al tempo, era avversata dal cancro mafioso tanto quanto le altre province della Regione. Nessuno lo sapeva, molti lo negavano, ma Beppe Alfano dai microfoni radiotelevisivi alle colonne dei quotidiani locali iniziò ad aprire gli occhi alla gente a smuovere le coscienze, denunciando traffici illeciti, appalti pilotati, collusioni tra Mafia e Politica. Era pericoloso, era pericoloso perché "era" un giornalista. Beppe Alfano lottava per la verità a tutti i costi, indagava, seguiva piste, scopriva "ordigni" pronti ad esplodere e a distruggere un'apparato burocratico, sociale e amministrativo in apparenza perfettamente funzionante e "pulito". Sapeva anche che tutto questo era rischioso, ma continuò a farlo fino alla fine, sopraggiunta trent'anni fa esatti, la sera dell'8 gennaio 1993, a pochi metri da casa sua, quando tre colpi di pistola lo inchiodarono al sedile della sua auto. Sulla sua morte, tra processi e revisioni, non si è ancora fatta pienamente luce. La "sua" luce, però, quella della verità, quella che si cerca e si scova per amore non si è mai spenta. Continua a vivere in chiunque crede di "essere" un giornalista e non semplicemente di "farlo". Perché Beppe Alfano, dopo la morte, diventò un "vero" giornalista, nominato pubblicista ad honorem per il suo impegno umano e civile. Ma - a mio avviso - giornalisti si nasce, difficilmente si diventa. "Essere" giornalista, lo dicevamo all'inizio, significa raccontare per passione, non per la gloria. Significa ricercare la verità ad ogni costo, assumendosene la responsabilità. Significa lottare per i propri ideali e avere il coraggio di difenderli. E Beppe Alfano, giornalista, lo è sempre stato e lo resterà.

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