GIANNI AGNELLI, UN UOMO E LA SUA ERA
Vent'anni. Vent'anni senza la sua eleganza, la sua ironia, la sua fermezza. Gianni Agnelli non è stato semplicemente un "delfino", l'erede dell'impero automobilistico fondato nella città sabauda nel 1899 dal nonno, il Senatore Giovanni. È stato un uomo concreto, consapevole delle responsabilità che gravavano sulle sue spalle, nonostante fosse stato un giovane scapestrato e dongiovanni, tra bagordi e flirt in Costa Azzurra, a bordo di yacht pieni di fascino e di belle donne, prima che capitolasse ai piedi della sua Marella, fidata compagna di una vita e madre dei suoi figli.
L'orologio sul polsino della camicia - uno dei vezzi che lo resero famoso - segnò il tempo delle sue giornate intense, dei suoi viaggi nel mondo, dei suoi impegni professionali dal 1966, anno in cui la FIAT giunse nelle sue mani dopo l'addio di Vittorio Valletta (braccio destro del Senatore e presidente dell'azienda dopo la sua scomparsa), fino alla morte, sopraggiunta il 24 gennaio 2003, quando le lancette si fermarono di colpo. Era la fine di un'era, la conclusione di una stagione che, nel bene e nel male, aveva condizionato la vita e le abitudini di un popolo che si toglieva con deferenza il cappello al solo sentir pronunciare il nome della FIAT e del suo "Signore". Perché, forse anche più dell' "Avvocato", il "Signor Fiat", l'appellativo con cui lo definì Enzo Biagi, resta ancora oggi quello più azzeccato. Una definizione che ha pennellato un uomo e la sua storia, fatta di automobili, capitali, relazioni internazionali, quadri d'autore, abiti impeccabili, passioni sconfinate (come quella per la "sua" Juventus) e la certezza di aver fatto tutto il possibile per un Paese che, volente o nolente, gli deve molto.
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