LUCIANO BONANNI: L' UOMO DELLE MILLE APPARIZIONI
Al giorno d'oggi, che si parli di piccolo o di grande schermo, basta un solo ruolo, una breve apparizione per sentirsi un divo. Ebbene, c'è chi un divo non lo è mai stato, pur avendo partecipato a decine e decine di pellicole, eppure lo è diventato ad honorem, per la sua longeva e talentuosa presenza. Luciano Bonanni, "romano de Roma" - città in cui nacque il 13 dicembre 1922 -, ha un record di presenze al cinema da fare invidia ad una star hollywoodiana. Come Mimmo Poli e Gianni Baghino, diventò di casa a Cinecittà fin dal Dopoguerra e vi restò per oltre trent'anni, maturando un'esperienza tale da permettergli di scavalcare via via posizioni sul set, passando dalla semplice genericata a piccoli ruoli parlati.
Basso, dal naso importante e il capello fluente - prima bruno, poi bianco -, Bonanni è apparso in pellicole di diverso genere, dalla commedia farsesca a quella "all'italiana", dal film sentimentale al "musicarello" fino al drammatico e al poliziesco. Tuttavia, è stato il genere comico a permettergli quella visibilità che ha permesso a chiunque di incrociare almeno una volta il suo sguardo o di ascoltare il suo accento romano - salvo quando veniva doppiato.
Da sinistra, in divisa, Luciano Bonanni, Toni Ucci e Totò ne "I due colonnelli" (1963) di Steno. |
Soldati, portieri, infermieri, portantini, poliziotti, impiegati sono i principali ruoli affidatigli nel corso degli anni, interpretati sempre con precisione e impegno. Tanti i registi con cui Bonanni si trovò a lavorare, da Steno a Carlo Verdone, che gli offrirono le migliori occasioni. Per il primo, oltre a comparire numerose volte come generico (come accanto a Totò in "Totò diabolicus" e "I due colonnelli"), ebbe un ruolo di un certo rilievo nei panni di un portantino trafficante in medicinali sotto banco, nonché accanito giocatore di cavalli nel cult "Febbre da cavallo" (1976), accanto a Gigi Proietti ed Enrico Montesano.
In alto, Luciano Bonanni con Enrico Montesano in "Febbre da cavallo" (1976) di Steno. In basso, con Alberto Sordi ne "I nuovi mostri" (1977), episodio "Pronto soccorso", regia di Mario Monicelli. |
Per il secondo, invece, interpretò uno degli infermieri del pronto soccorso dove il bullo Enzo "scarica" il suo sfortunato compagno di viaggio in "Un sacco bello" (1980), esordio alla regia dell'attore romano. E non si può dimenticare "il malconcio", l'uomo investito da un ignoto pirata della strada e soccorso dal principe Catalan Belmonte/Sordi a bordo della sua Rolls-Royce nell'episodio "Pronto soccorso" dei "I nuovi mostri" (1977) diretto da Mario Monicelli. Ma Luciano Bonanni partecipò anche (in due ruoli diversi) al "Rugantino" di Garinei & Giovannini, sia nella prima edizione del 1962, con Nino Manfredi. che in quella del 1978 con Enrico Montesano.
In alto, Luciano Bonanni con Carlo Verdone in "Un sacco bello" (1980) dello stesso Verdone. In basso, con Nino Manfredi in "Grandi magazzini" (1986) di Castellano & Pipolo. |
E che Bonanni fosse diventato un divo honoris causa, come dicevo prima, lo spiega il fatto che la sua ultima interpretazione, nel 1986, fu quella di se stesso nella commedia corale "Grandi magazzini", per la regia di Castellano & Pipolo. Forse il modo migliore per concludere una luminosa esistenza consacrata all'arte cinematografica quasi fino alla sua scomparsa, avvenuta l'11 gennaio 1991. Come dicevo all'inizio, per molti artisti un piccolo ruolo in una fiction può significare essere "arrivati", ma non è affatto così. Per questo amo ricordare personaggi come Luciano Bonanni, caratteristi di razza. Amo ricordare i caratteristi perché hanno costituito la spina dorsale della cinematografia nazionale. Amo ricordarli perché, anche nell'ombra, sono stati in grado di brillare più del primo attore. Amo ricordare i caratteristi perché hanno saputo "apparire" quasi senza volerlo, sfruttando una buona immagine e costruendosi il proprio talento comparsata dopo comparsata, battuta dopo battuta. Così è stato per i tanti uomini delle mille apparizioni come Poli, Baghino e soprattutto Bonanni, che ad un secolo dalla nascita non merita di essere dimenticato.
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