DON LUIGI GIUSSANI: SOLO PER AMORE
Come ha fatto? Verrebbe da chiederselo davvero. Non è facile avvicinare a Dio, specialmente quando si tratta di chi contesta tutto, di questo mondo e dell'altro. Come ha fatto don Giussani a persuadere, a far si che i giovani, i più fragili ma anche i più ostinati, si aprissero alla fede? La risposta potrebbe apparire scontata, ma in realtà profondamente vera nella su semplicità: parlando, come Cristo. Don Luigi Giussani proveniva da una famiglia semplice. Figlio di un socialista e di una donna devota, ricevette dalla madre quelle "parole" che lo portarono, ancora bambino, a prendere coscienza della sua vocazione. Così, lasciò la sua Desio - dove nacque un secolo fa, il 15 ottobre 1922 - e si trasferì nel varesotto, entrando in seminario e compiendo studi inferiori e superiori. Venne ordinato sacerdote nel 1945 e iniziò subito ad insegnare.
Luigi Giussani aveva la vocazione della fede e quella del suo insegnamento. Iniziò nei seminari, ma ben presto si rese conto che sarebbe stato più utile altrove. Chi intraprende quel percorso - per vocazione o per studiare quando si hanno pochi soldi, come succedeva un tempo - lo fa perché è già sulla via di un ricongiungimento con Dio. Don Luigi Giussani, però, voleva che alla bellezza e alla forza della fede si accostassero coloro che non avevano punti fermi, che avevano nel cuore un bisogno d'amore che li portava, spesso, ad allontanarsi dalla via del Bene. Era l'Italia degli anni '50 e '60. L'Italia della Ricostruzione prima, della Contestazione poi. La ricchezza, il progresso, nuovi usi e costumi avevano provocato un terremoto che aveva investito perfino la Chiesa, spinta al rinnovamento. Giusto sessant'anni fa, nell'ottobre 1962, papa Giovanni XXIII dava inizio al Concilio Vaticano II, poi portato a compimento da Paolo VI. Ma la "rivoluzione" che don Giussani attuò a partire dal Dopoguerra fu ben diversa. Ritornare al dialogo, alla divulgazione della parola di Cristo, alle promesse del Padre, della sua guida. Don Luigi Giussani capì così che la sua strada era un'altra. Lasciò gli aspiranti sacerdoti e passò alla scuola pubblica. Tra Milano e dintorni, don Giussani diede inizio alla sua opera di evangelizzazione, passando dagli istituti scolastici delle periferie alle cattedre della "Cattolica". Si aprì dinanzi a lui un mondo: quello dei giovani. Ragazzi e ragazze con gli occhi pieni di sogni e di speranze, ma persi tra mille illusioni e false promesse. La Contestazione, la rivoluzione sociale, culturale e sessuale della fine degli anni '70 vide don Giussani passare dal movimento Gioventù Studentesca, interno all'Azione Cattolica, alla fondazione di Comunione e Liberazione. La parola di Cristo, il conforto delle Scritture portati alla gente, ovunque si trovi. La Chiesa che torna ad "umanizzarsi" scendendo per strada, a contatto con i bisognosi, con i disagiati o con chiunque avesse bisogno di sentirsi figlio di un Padre che è sempre presente, anche quando sembra che non ci sia. Ecco, don Luigi Giussani, nella sua lunga opera di riavvicinamento alla religione, attraverso discorsi, lezioni e libri ha riportato il cattolicesimo alla sua forma più pura e sincera, ridestando negli occhi dei giovani la certezza che la felicità è camminare uniti verso la direzione che Dio ci ha assegnati, vedendola non come una meta, ma come un percorso continuo. Un percorso in cui è l'amore che spinge alla fede. Fede nella vita, fede nel Cristo e fede nell'uomo. Insegnamenti che don Giussani continuò a professare fino alla fine, anche quando il Parkinson cominciò a indebolirne il corpo, ma non la mente. Fino al momento della sua scomparsa - avvenuta il 22 febbraio 2005 -, don Luigi Giussani ha continuato la sua missione sacerdotale e umana, battendosi affinché la Chiesa recuperasse la purezza del messaggio di Cristo. Un messaggio di fiducia e di sprono alla continua e incessante ricerca della felicità. "Pretendere la felicità nella vita è un sogno. Vivere la vita camminando verso la felicità è un ideale". Ebbene, forse, se don Luigi Giussani è riuscito nel suo intento, la risposta sta proprio nel perché ha compiuto tutto questo. Non per dovere, non per mestiere, non per obbligo o per diletto, ma solo per amore.
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