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 NINO VINGELLI,  "CARATTERE" E  "FACCIA TOSTA"

 

Mascella quadrata, occhi scuri e penetranti sotto le sopracciglia folte. Capelli imbrillantinati, all'indietro, sopra una testa quasi cubica. Questa è l'immagine che Nino Vingelli ha consegnato alla storia. Quella di un uomo piccolo ma di forte tempra, sul palcoscenico come sul set, specialmente quando si trattava di interpretare tipi loschi. Gennaro, un "guappo" contrabbandiere di sigarette, gli valse nel 1959 un Nastro d'argento come miglior attore non protagonista. Il film era "La sfida",  ambientato a Napoli e diretto da uno dei suoi più celebri "figli", Francesco Rosi. Anche Nino Vingelli era napoletano.




Dalla sua città - dove nacque il 4 giugno 1912 - Salvatore Vingelli (questo il suo vero nome) apprese l'arte del palcoscenico frequentando diverse filodrammatiche. Non solo la recitazione, ma anche il canto gli diedero modo di farsi conoscere negli ambienti teatrali. La sceneggiata divenne la sua arma vincente, tanto da "esportarla" nella Capitale, dove si trasferì negli anni '40. Qui, Nino Vingelli riuscì a crearsi un suo spazio, portando in scena classici della sceneggiata napoletana, come "Zappatore", ma soprattutto approdando al cinema. Grazie al suo talento e alle sue prerogative fisiche, Nino Vingelli divenne un pregevole caratterista, passando con disinvoltura da ruoli comici a drammatici. 


Nino Vingelli e José Suárez ne "La sfida" (1958) di Francesco Rosi.

Con Francesco Rosi, recitò ancora ne "I magliari", dove era Vincenzo, uno dei piazzisti napoletani trafficanti di stoffe nella Germania di fine anni '50. Ma fu anche il quasi omonimo don Vincenzino, venditore ambulante da cui la bella "Bersagliera"/Lollobrigida vorrebbe comprarsi un vistoso vestito in "Pane, amore e fantasia" di Comencini. E ancora fu don Gennaro "'o mbruglione", il finto sacerdote che chiede l'elemosina alla stazione centrale di Napoli in "Café Express" di Nanni Loy. 



In alto, Nino Vingelli con Gina Lollobrigida in "Pane, amore e fantasia" (1953) di Luigi Comencini.
In basso, da sinistra, Antonio La Raina, Nino Di Napoli, Nino Vingelli e Renato Salvatori ne "I magliari" (1959) di Francesco Rosi.



Come non citare, poi, il sergente Manfredonia, terribile sottufficiale responsabile di un reparto dell'esercito italiano impegnato nella cruenta Campagna di Russia in "Italiani, brava gente" (1964) di Giuseppe De Santis. 


In alto, Nino Vingelli in "Italiani, brava gente" (1964) di Giuseppe De Santis.
In basso, in "Café Express" (1980) di Nanni Loy.



Ruoli vari, più o meno comici, più o meno seri ma sempre pennellati con arguzia e realismo. Un'aderenza profonda alla realtà, data da quel volto scolpito nel legno, dai lineamenti decisi, rimasto impresso negli annali della storia cinematografica italiana. Perché per quanto il teatro sia stata la sua arma vincente (negli anni '60 fu anche in compagnia con Eduardo De Filippo, recitando ne "Il contratto"), Nino Vingelli deve al cinema la sua popolarità. Sul grande schermo, tra alti e bassi, continuò a lavorare fin quasi alla fine dei suoi giorni - sopraggiunta il 26 marzo 2003 -, lasciando un segno. Un solco duro come la sua "faccia tosta" e profondo come il suo talento che, a centodieci anni dalla sua nascita, sono lieto di aver ricordato.

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