CIAO, LINO!
Non si è mai mostrato troppo. Ha sempre tenuto fede alla sua immagine di uomo perbene, timido, riservato. Come Giorgio, il giovane ebreo innamorato e perseguitato nella Ferrara dei primi anni '40, quella nazifascista e antisemita de "Il giardino dei Finzi Contini", il celebre romanzo di Bassani portato sul grande schermo nel 1970 da Vittorio De Sica - che gli valse un David di Donatello. Ruolo con cui ancora oggi era identificato da tutti.
Lino Capolicchio ha avuto una carriera lunga e ricca di soddisfazioni. Nato a Merano - il 21 agosto 1943 -, cresciuto a Torino, si formò artisticamente a Roma, all'Accademia d'arte drammatica. Il suo battesimo artistico avvenne sul palcoscenico del "Piccolo" di Milano, con Giorgio Strehler, e da quel momento il teatro divenne il suo habitat naturale. Ma la notorietà di Capolicchio - oltre che attore, anche sceneggiatore, regista e docente al Centro Sperimentale di Cinematografia -, come dicevamo, è legata al cinema, a pochi ruoli in film più o meno celebri. Da "Metti, una sera a cena" di Giuseppe Patroni Griffi - tratto dalla commedia omonima - a "Il giovane normale" di Dino Risi, fino al lungo sodalizio col regista Pupi Avati, che va da "La casa dalle finestre che ridono" a "Il Signor Diavolo", uscito nelle sale tre anni fa, nel 2019. Il piccolo schermo, invece, lo ha visto esordire con gli sceneggiati ("Il conte di Montecristo" di Edmo Fenoglio") ed arrivare alle moderne miniserie ("Fine secolo") e fiction tv ("Una grande famiglia"), ma è stato il palcoscenico ad aver assorbito tutte le sue energie. Se ne è andato via in silenzio, secondo il suo costume, prima che il sipario si aprisse davanti al suo volto per un applauso di commiato. Neanche noi vogliamo fare clamore, ma soltanto salutarlo un'ultima volta, con discrezione e ammirazione. Ciao, Lino!
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