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 "DIABOLICUS": TOTO' TRA CRONACA VERA E GIALLO LETTERARIO


Un marchese pugnalato e una straordinaria eredità nelle mani dei suoi quattro fratelli: una pia baronessa, un ex generale della Milizia, un famoso chirurgo e un alto prelato. Sotto la lama omicida, sul petto di Galeazzo di Torrealta, un biglietto con su scritto "Diabolicus": la firma del criminale che ha commesso il delitto. Un solerte commissario di polizia indaga sul caso. Timoroso nel muovere accuse verso i parenti della vittima, tutte persone "al di sopra di ogni sospetto", arriva alla verità grazie ad un fratellastro, figlio illegittimo del capostipite della famiglia, a cui monsignor Antonino, l'ultimo superstite dei Torrealta - dopo che Diabolicus, tornato in azione, ha ucciso anche gli altri tre fratelli -, ha deciso di cedere l'eredità. Ma sotto l'abito talare del monsignore, con buona dose di trucco, si nasconde il marchese Galeazzo, che ha inventato la figura di Diabolicus per uccidere i suoi fratelli (per primo il monsignore, assumendone così le vesti) e godersi l'intero patrimonio. 


Il marchese Galeazzo/Totò assassinato in una delle prime sequenze del film.


Sembrerebbe un normalissimo giallo-poliziesco, di quelli che lasciano col fiato sospeso, pieni di colpi di scena. Un giallo di derivazione letteraria, con un illustre assassinio compiuto in una famiglia rispettabilissima. Ma è soltanto una parodia, una gustosissima parodia. Perché il protagonista di questa fantastica pellicola è Totò, che si ritrova ad interpretare contemporaneamente ben sei ruoli, ovvero i fratelli di Torrealta. 


Luigi Pavese (il commissario) con Mario Castellani (l'ispettore Scalarini). 


"Totò diabolicus", che usciva nelle sale sessant'anni fa esatti - il 7 aprile 1962 -, è una commedia diretta da Steno e scritta da illustri "penne" del cinema italiano: Vittorio Metz, Roberto Gianviti (autori anche del soggetto), Marcello Fondato, Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi. La pellicola prende il titolo dal misterioso protagonista, tale Diabolicus, un sanguinario assassinio in tuta nera, dietro il cui passamontagna si nasconde invece il marchese Galeazzo/Totò. 


Laudomia e il generale Scipione. In alto, Totò e Raimondo Vianello.
In basso, da sinistra, Antonio La Raina, Luigi Pavese, Mario Castellani e Totò.


A svolgere le indagini, un commissario che ricorda molto (anticipandolo di qualche anno) il Maigret di Gino Cervi, con tanto di baffi e pipa. I suoi panni sono indossati da Luigi Pavese, grande caratterista e spesso "spalla" di Totò in diversi film, come "Totòtruffa'62" di Mastrocinque ("Lei con quegli occhi mi spoglia, spogliatoio!"). Al suo fianco anche un altro grande "incassatore" dell'ironia del Principe De Curtis, Mario Castellani, nei panni dell'ispettore Scalarini. Il film, naturalmente, è un deciso e volontario scherno al poliziesco serio, alla letteratura "gialla" di più alto prestigio, ma è anche un'occasione per dimostrare le doti camaleontiche di Totò, nella caratterizzazione dei fratelli di Torrealta.



Il chirurgo e "il paziente che non ha pazienza". Da sinistra, Pietro De Vico, Totò e Franco Giacobini.




Prima Galeazzo, nobile tombeur de femmes con la "erre moscia" e tanto di "amichetta" convivente. Poi la baronessa Laudomia, eccentrica donna, due volte vedova e con terzo marito al fianco, "Lallo" (interpretato da uno straordinario Raimondo Vianello), il quale, a sua volta, ha una relazione con la cognata, la moglie del chirurgo, il professor Carlo di Torrealta. Proprio quest'ultimo, rappresenta il personaggio forse più riuscito, con la memorabile scena del "paziente che non ha pazienza", ovvero l'assurda operazione chirurgica subita dall' "impaziente"/Pietro De Vico - scena, come raccontato dagli stessi protagonisti, girata una sola volta e contando sulla totale improvvisazione di Totò. 


Monsignor Antonino.


Ma eccezionale, a mio avviso, il generale Scipione di Torrealta, ex comandante della Milizia nostalgico del Ventennio, che vive rinchiuso nella sua villa, "Il Littoriale", divertendosi a comandare un finto plotone di esecuzione (fatto di disoccupati e comparse del cinema) che spara a salve sui cartonati di celebri antifascisti - da Winston Churchill ad Amintore Fanfani. Per non parlare poi di Pasquale Bonocore, il fratellastro ex galeotto che assieme alla fortuna dei Torrealta eredita anche la "condanna a morte" del sedicente Diabolicus (che contribuirà a smascherare). Ecco, proprio su Diabolicus bisognerebbe soffermarsi. 


Pasquale Bonocore (Totò) con il notaio Cocozza (Peppino De Martino).


Perché è vero, si tratta di una commedia. Molteplici situazioni comiche si susseguono a profusione (e ne ho citate solo alcune), ma è pur sempre una fedele ricostruzione delle dinamiche di un vero film poliziesco, sebbene in chiave ironica. Ma non solo. Il nome stesso di Diabolicus si richiama alla realtà. In molti, forse, potrebbero pensare che il personaggio si ispira a Diabolik , celebre protagonista dei fumetti, anche per via delle somiglianze estetiche (passamontagna e tuta neri). In realtà,  Diabolik arriverà in edicola nell'autunno successivo all'uscita di questo film, quindi si potrebbe supporre che sia stato il personaggio di Totò ad ispirare le autrici del fumetto (Angela e Luciana Giussani) e non il contrario.


In alto, "Diabolicus". In basso, il regista Steno nei panni del giardiniere Angelo.



 

Diabolicus, invece, si ispira ad un caso di cronaca avvenuto a Torino il 15 febbraio 1958. L'assassinio di un operaio, con 18 coltellate, compiuto da un tale che diceva di chiamarsi "Diabolich" e che sfidava la polizia con biglietti e lettere provocatori. Quanto accade proprio nel film, quando Diabolicus, oltre a firmare il primo omicidio, spedisce ben tre lettere: una al commissario, per depistarlo, e altre due ai fratelli Scipione e Carlo di Torrealta, per far si che si rechino a casa della sorella Laudomia dove verranno assassinati.


La locandina del film.


Aderenza, dunque, alla cronaca dell'epoca, al genere giallo molto in voga al tempo, sfruttando la creatività e il genio di Totò, nonché quello dei suoi eccellenti comprimari, per un prodotto gustoso, rilassante e davvero ben costruito dal regista Steno, che compare addirittura in un piccolo cameo -  nei panni di Angelo, il folle giardiniere di Laudomia. Insomma, un film veramente imperdibile, ancora oggi in grado di divertire con una certa freschezza, data non solo dalla spumeggiante interpretazione di Totò moltiplicato per sei, ma anche dalla capacità - mediante una sceneggiatura ben scritta - di offrire un realistico esempio di cinema "noir", scimmiottando pagine di celebri gialli e famose pellicole internazionali, ma anche sfruttando la cronaca pur di individuare l'espediente giusto e creare così un guazzabuglio di ironia, gusto e suspense davvero insuperabili.

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