PIER PAOLO PASOLINI, IL FASCINO DELL'INCOMPRESO
"Bisogna essere molto forti per amare la solitudine". Fu lui a scriverlo e non si può certo pensare che non fosse forte. Perché Pier Paolo Pasolini era un uomo solo. La sua solitudine era stata in parte voluta, in parte subita. Cercata perché le sue riflessioni erano frutto di un'attenta analisi, basata sulla contemplazione, sulla osservazione della realtà. Quella rurale e quasi fiabesca di Casarsa, in Friuli, città della madre ma in fondo anche sua - sebbene nacque a Bologna, un secolo fa -, e quella povera, malfamata e a tratti oscena della periferia romana, quella dei "figli" della miseria all'ombra del "Boom". Quelli di film come "Accattone", "Mamma Roma" e del romanzo "Ragazzi di vita".
Opere amate e odiate, censurate e avversate dalla società borghese contro cui Pasolini si scagliava anche nei suoi articoli sul "Corriere della sera" e su altre riviste (gli "Scritti corsari"). Non era semplice capirlo, non era semplice seguirne il pensiero, comprendere il significato dei suoi film dove al racconto delle "miserie" della periferia si univano disquisizioni filosofiche sul concetto di verità (come il dialogo tra Totò e Ninetto Davoli nei panni di Iago e Otello in "Che cosa sono le nuvole?"), sulla vita e sulla religione ("Il Vangelo Secondo Matteo") anche sforando nel grottesco e nel surreale, tra comunismo e francescanesimo ("Uccellacci e uccellini").
No, non era facile capire tutto di ciò che diceva. Per i più, forse, non era neanche facile comprenderne fino in fondo il senso. Però tutti, almeno una volta, per appoggiarlo o per contrastarlo, hanno cercato di capirlo. Come hanno cercato di capire il perché della sua tragica morte, massacrato sulla spiaggia dell'idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. Ma lui disse che "la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compreso". Se questo è vero, allora Pier Paolo Pasolini non è davvero morto. Non lo sono le sue idee, i suoi pensieri. Non lo sono le sue opere che continuano a scandalizzare e ad affascinare chi, dopo tanti anni, cerca ancora di comprenderlo fino in fondo.
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