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 SALVO LIMA, IL PATTO COL DIAVOLO


Fu un segnale atroce, un presagio di mesi di cambiamenti, di morte, di confusione. L'assassinio di Salvo Lima, eurodeputato democristiano, rappresentò la fine di un "accordo", fa male dirlo, tra rappresentanti dello Stato e loschi individui appartenenti alla "metà oscura" del mondo, fatta anche di sangue e di orrore. Trent'anni fa esatti, il 12 marzo 1992, davanti alla sua casa di Mondello, l'onorevole Lima pagò con la vita la sua scelta. Quella di scendere a compromessi, di stipulare un vero e proprio patto col diavolo, in cambio di potere e successo. Un patto con la Mafia, l'ombra nera che da secoli (almeno dall'800) oscura il caldo sole della Sicilia. Quell'Isola bellissima, dove Lima nacque, il 23 gennaio 1928, a Palermo. Si laureò in Giurisprudenza, cominciò a lavorare in banca ma ben presto si avvicinò alla politica. Fu consigliere prima, assessore poi al comune di Palermo, divenendo sindaco della città nel 1958, nelle liste della Democrazia cristiana, ala Fanfani.



Fu con il suo primo mandato di sindaco (venne rieletto nel 1965) che Salvo Lima divenne noto alle cronache per la sua politica spregiudicata. Con la collaborazione di un altro personaggio ambiguo, Vito Ciancimino, assessore ai lavori pubblici, Lima si fece promotore di una campagna dal titolo "Palermo è bella, facciamola più bella". A quel grido, la splendida città piena di ville liberty, stucchi e colonnati, lasciò spazio a decine e decine di palazzoni, costruiti con la complicità di aziende poco "pulite". Il "Sacco di Palermo" rappresentò un vero trauma per la geografia della città, completamente stravolta nella sua antica bellezza. Fu in quegli anni che Lima, probabilmente, strinse il patto col diavolo. Tanto è vero che alla fine degli anni '60, il suo nome era già comparso più volte nelle inchieste della Commissione Parlamentare Antimafia. Ma la sua carriera proseguì, portandolo sempre più in alto. Nel 1968 divenne deputato, passò alla corrente Dc capeggiata da Andreotti, e nel 1979 venne eletto al parlamento europeo in rappresentanza della Sicilia. Lima era ormai all'apice del successo, ma i tempi stavano cambiando. Il traffico di droga con gli Stati Uniti, le guerre di Mafia dei Corleonesi di Riina, omicidi illustri. La Mafia cominciava ad essere qualcosa di visibile. 



Il Maxiprocesso di Palermo, istruito nel 1986 dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, aveva sferrato un duro colpo a Cosa Nostra. Lima non aveva fatto niente. Forse perché non aveva potuto, forse perché non aveva voluto, ma la sua immagine di "intoccabile", di "protetto" era ormai svanita. La conclusione del Maxiprocesso aveva di fatto lacerato l'organizzazione mafiosa. Quel 1992 rappresentò la fine di un'epoca di luci e di ombre. L'assassinio di Lima, freddato con tre colpi di pistola, rappresentò un vero e proprio atto di dissociazione e punizione verso una determinata "politica" che aveva voltato le spalle agli "amici". L'ennesimo colpo allo Stato. Uno Stato già al collasso, travolto dallo scandalo di Mani Pulite, la caduta degli storici partiti del Dopoguerra e la fine della "Prima Repubblica". Una fine terribile, quella di Lima. Un uomo che probabilmente credeva di aver usato la Mafia e che invece era stato soltanto sfruttato fino a quando aveva fatto comodo, per poi essere rinnegato, ucciso dallo stesso diavolo che gli aveva accarezzato l'anima facendola sua. Lo stesso diavolo che, pochi mesi dopo, avrebbe fatto saltare in aria Falcone e Borsellino, i giudici che avevano scardinato il sistema. Un sistema di corruzione, violenza, terrore. Un sistema ancora oggi non completamente svelato in tutte le sue componenti. Un sistema di cui Lima aveva fatto parte, e quella parte gli costò la vita.

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