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 GLI "ARZILLI VECCHIETTI" DI TURI PANDOLFINI


 Piccolo, gracile, dal volto smunto e segnato, con pochi capelli bianchi arruffati ai lati del cranio. Due occhi piccoli e strabuzzati, dietro una sottile montatura da vista. Una specie di clown talmente ilare da suscitare divertimento senza neanche pronunciare una battuta, con la sua sola presenza, con la semplice mimica. Eppure quella inconfondibile vocetta stridula, che svelava le sue origini catanesi, fece di Turi Pandolfini una sorta di "maschera" della commedia, permettendogli di lavorare con prestigiosi registi e conoscendo fama e popolarità nazionali dopo anni di gavetta e pièce teatrali. 



Nato nel capoluogo etneo il 10 novembre 1883, Salvatore "Turi" Pandolfini iniziò a recitare seriamente dopo i trent'anni. Esordì nel 1908  nella compagnia dello zio, l'attore Angelo Musco, per cui svolgeva anche la funzione di segretario. Decisosi ad intraprendere seriamente la carriera d'attore, si specializzò nel repertorio vernacolare siciliano, con qualche incursione nel teatro pirandelliano (lavorò anche col maestro di Girgenti), fondando poi una propria compagnia.


In alto, Turi Pandolfini con Peppino De Filippo in "Un giorno in pretura" (1954) di Steno.
In basso, con Alessandra Panaro in "Lazzarella" (1957) di Carlo Ludovico Bragaglia.



 I palcoscenici lo videro attivo fino al Dopoguerra, quando entrò nella Compagnia del Teatro Siciliano, ma come dicevamo fu il cinema a consacrarlo agli onori del pubblico. Dopo una piccola parte nel film muto "San Giovanni decollato" (1917), Turi Pandolfini divenne una presenza ricorrente nella cinematografia nazionale, soprattutto negli anni '50. 


Da sinistra, Mina, Adriano Celentano e Turi Pandolfini in "Urlatori alla sbarra" (1960) di Lucio Fulci.

Grazie al physique du rôle, Pandolfini rappresentò l'archetipo del vecchietto arzillo e brontolone, svampito o scocciatore, collerico o flemmatico, passando da film comici a drammatici, commedie romantiche e musicali, diretto da registi del calibro di Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Raffaello Matarazzo,  Carlo Ludovico Bragaglia, Lucio Fulci, Steno e Mario Mattòli. Tra i tanti ruoli, quello del cancelliere del pretore Lo Russo/Peppino De Filippo alle prese con ladruncoli, truffatori e folli individui nel meraviglioso "Un giorno in pretura" (1954) di Steno, oppure il professore di matematica che manda agli esami di riparazione la discola Lazzarella /Alessandra Panaro nell'omonimo film (1957) di Bragaglia. O ancora il senatore Bucci, simpatico e vegliardo politico democristiano favorevole al rock and roll e agli "scalmanati" Mina, Celentano e Joe Sentieri in "Urlatori alla sbarra" (1960) di Lucio Fulci. 


Turi Pandolfini nell'episodio "La giara" dal film "Questa è la vita" (1954).

E a tutti questi personaggi va sicuramente aggiunto zì Dima, l'uomo che rimane chiuso nella giara nella omonima novella di Pirandello, episodio del film "Questa è la vita" (1954). Un omaggio alla sua longeva attività di teatrante che da sola, forse, non ci avrebbe permesso di ricordarlo. Perché se oggi, a sessant'anni dalla sua scomparsa - avvenuta, nella sua Catania, il 6 marzo 1962 -, siamo qui a parlare di lui, lo dobbiamo a quelle decine di personaggi, a quegli "arzilli vecchietti" che Pandolfini ha saputo caratterizzare con naturalezza e simpatia, contribuendo alla celebrità di pellicole più o meno belle, più o meno divertenti e memorabili nelle quali sopravvive memoria di lui e di una straordinaria stagione del cinema italiano.

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