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TANGENTOPOLI: LE MACERIE DI UN' EPOCA 


 L'inizio della fine. La fine di un'epoca, la fine di una storia, di più storie. La fine della politica che per mezzo secolo aveva condizionato le sorti del Paese. La caduta di una "maschera" dietro cui si celava un sistema di corrotti e di corruttori, di finanziamenti e fondi neri pronti ad ungere gli ingranaggi di una macchina politica che - per lo meno nell'apparenza - sembrava funzionare alla perfezione, salvo incepparsi quel 17 febbraio 1992. Quella sera di lunedì di trent'anni fa iniziò una rivoluzione guidata da tre sostituti procuratori di Milano entrati nella storia per aver fatto luce tra le ombre della Prima Repubblica. Il "colpo di piccone" che fece crollare il sistema fu l'arresto di Mario Chiesa, direttore del Pio Albergo Trivulzio (una casa di cura per anziani), ammanettato mentre riscuoteva una grossa tangente per un appalto.



Da quel momento, nel giro di pochi mesi, il capoluogo lombardo, la "Milano da bere", la capitale degli affari e della moralità divenne "Tangentopoli" - termine coniato dal giornalista Piero Colaprico -, la città delle tangenti. Un giro di affari che vedeva coinvolti politici ed esponenti dell'imprenditoria, investiti da una valanga di avvisi di garanzia e procedimenti giudiziari. I "picconatori", i magistrati Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, i "moschettieri" della giustizia, scoperchiarono un sistema di corruzione che partendo da Milano coinvolse l'Italia intera, colpendo i principali partiti nazionali. La Democrazia cristiana, il Partito socialista italiano, il Partito repubblicano italiano, il Partito liberale italiano e il Partito comunista italiano (che dopo la fine del comunismo si era trasformato in Partito democratico della sinistra) vennero travolti dallo scandalo, come dimostrarono le successive elezioni di aprile - dette elezioni "terremoto" -, in cui gli storici partiti repubblicani persero voti a favore di nuove formazioni, come la Lega Nord di Umberto Bossi.

L'inchiesta, soprannominata "Mani Pulite", andò avanti per anni, sullo sfondo di tragici eventi (l'assassinio dell'onorevole democristiano Salvo Lima, affiliato a Cosa Nostra, il 12 marzo, le stragi di Capaci e via d'Amelio il 23 maggio e il 19 luglio, e gli attentati di Roma e Firenze del 1993) specchio di una destabilizzazione che coinvolse anche gli ambienti mafiosi e quelli terroristici. Ma a colpire l'opinione pubblica, che sosteneva con manifestazioni pubbliche e messaggi di approvazione i "moschettieri" della giustizia, in primis Antonio Di Pietro, spronandoli ad andare fino in fondo, ci furono anche i suicidi. Molti imprenditori, travolti dall'onta mediatica e giudiziaria si tolsero la vita. Lo fece Gabriele Cagliari, l'allora presidente dell'ENI, e anche Raul Gardini, il presidente della Montedison, coinvolto nell'affaire Enimont. Nel frattempo, mentre alcuni personaggi videro la loro carriera politica concludersi miseramente trascinando con sé il proprio partito, come Bettino Craxi con il Psi, ci fu chi cercò di riportare la "barca" in porto, come il democristiano Oscar Luigi Scalfaro che salì al Quirinale il 23 maggio 1992,  in piena crisi nazionale, dopo le dimissioni anticipate del Capo di Stato in carica, Francesco Cossiga.

Da allora, nulla fu più come prima, come all'indomani della guerra, con un Paese pieno di macerie e un popolo scosso ed incredulo. Però al "Dopo " Tangentopoli, a differenza del Dopoguerra, mancava qualcosa. Mancava di entusiasmo. L'entusiasmo di ricominciare, di raccogliere i cocci e ricostruire. Per quanto quella rivoluzione di lunedì 17 febbraio abbia dato inizio ad una fine, da quella fine, forse, non ci siamo mai completamente ripresi. E le macerie della "guerra", questa volta, non fanno solo parte dei ricordi, ma continuano a circondarci. Perché, è vero, trent'anni fa si decretava la fine di un'epoca venuta fuori dal nulla e ripiombata nel nulla. Ma una nuova epoca, probabilmente, non ha mai avuto inizio.

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