DINO BUZZATI, LA RICERCA DELLA VERITÀ
La vita, si sa, corre verso la morte. E in questa corsa pazza, nel disperato tentativo di sfuggire al suo richiamo, lui si faceva trascinare con un misto di paura e curiosità. Non che le andasse incontro, non che la "stuzzicasse". Ma Dino Buzzati sapeva bene che, prima o poi, sarebbe toccata anche a lui, e in qualche modo la sua scrittura e i suoi racconti furono un modo per esorcizzarla, per tenerla sotto controllo, per carpirne i segreti. Quando arrivò il suo turno, il 28 gennaio 1972 - ricoverato in una clinica milanese per un tumore -, Buzzati la accolse con lucida serenità. Come quei personaggi, surreali, psicologicamente oppressi dal dubbio, rincorsi da un destino che sembra non lasciare campo libero alla decisione. La medesima lucidità con cui, per quasi cinquant'anni, raccontò le pagine più scure dell'Italia del Dopoguerra (l'aereo del "Grande Torino" che precipitò a Superga nel 1949) e della sua amata Milano, dove aveva vissuto fin da bambino, dopo aver lasciato Belluno - città in cui nacque il 16 ottobre 1906.
Nel capoluogo lombardo si diplomò al Liceo Parini, si laureò in Giurisprudenza ma scelse il giornalismo entrando, come praticante, nella celebre redazione di Via Solferino alla fine degli anni '20. Lì, al "Corriere della Sera", Buzzati passerà il resto della vita, diventando per lui una seconda casa. Fu corrispondente, inviato di guerra, narratore dal mondo - dall'India a New York - ma soprattutto cronista di nera, occupandosi degli angoli più oscuri e "nebbiosi" della Milano degli anni '60. Le borgate proletarie, luci ed ombre della buona borghesia, tra follie e incertezze. "Un amore", romanzo scritto nel 1963, racconta proprio dei dubbi e dei contrasti interiori di un borghese di mezza età, rapito dalle grazie di una fanciulla di modesta estrazione che sembra giocare con i suoi sentimenti, in un groviglio di passione, angosce e paure. E se la paura della morte, di una fine imminente, corrobora il suo romanzo più famoso, "Il deserto dei Tartari" (1940) - in cui un giovane sottotenente è mandato a morire in una Fortezza ai limiti col deserto, praticamente senza alcuna possibilità di salvezza -, questa corsa pazza contro il tempo pervade l'intera produzione di Buzzati, disseminata di racconti dove la sua vita privata emerge non solo nei dubbi esistenziali, ma anche nella passione per l'alpinismo, la montagna (si pensi al suo primo racconto "Bàrnabo delle montagne") e per la natura in senso ampio dove, a suo avviso, si avverte maggiormente la presenza di un Mistero inconoscibile, a cui lo scrittore non cerca di dare risposte. L'intento di Buzzati, infatti, nei suoi interrogativi kafkiani, nel suo peregrinare tra surreale e fantastico, nello scrutare la nebbia dell'indifferenza, rimane quello di promuovere una ricerca continua della verità. Una verità che, a cinquant'anni dalla sua morte, forse Dino Buzzati avrà finalmente trovato e che noi, attraverso i suoi testi, possiamo solo provare a comprendere o, se non altro, ad avvicinare.
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