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 VITTORIO MEZZOGIORNO, RIGOROSO ANTIDIVO


 Schivo, riservato, a tratti anche timido. Non fu mai un esibizionista Vittorio Mezzogiorno, anche se nella sua breve ma intensa carriera avrebbe potuto permetterselo. Una fama, la sua, che raggiunse il successo anche all'estero, soprattutto in Francia, dove per alcuni anni visse. Ma ciononostante, il suo carattere, ombroso come il suo volto, tormentato come molti dei personaggi portati in scena (che fosse in televisione o al cinema) rimase sempre quello di un giovane studente napoletano - nacque a Cercola, alle porte del capoluogo campano, il 16 dicembre 1941 - che tra un esame di diritto e una capatina sul palcoscenico, capì soltanto dopo la laurea in Giurisprudenza di essere davvero interessato alla recitazione. 



Frequentò a Napoli il "Teatro S." , recitando Beckett, e nel 1966 entrò a far parte della "Scarpettiana", sotto la guida di Eduardo De Filippo. Si trasferì poi a Roma, recitando con i fratelli Giuffré prima,  formando una cooperativa con Flavio Bucci e Stefano Satta Flores poi.  Contemporaneamente arrivarono la televisione e il cinema, negli anni '70 e '80. 


Vittorio Mezzogiorno con Nino Manfredi ne "Il giocattolo" (1979) di Giuliano Montaldo.

 Alto, magro e muscoloso, con quel volto dai lineamenti spigolosi illuminati da un chiarissimo sguardo azzurro, Vittorio Mezzogiorno divenne una presenza ricorrente nel cinema del tempo, fatto di polizieschi e film di denuncia, dove il suo fisico atletico e il suo volto ambiguo gli permisero di interpretare al meglio i personaggi più differenti. 


Da sinistra, Nino Manfredi, Vittorio Mezzogiorno e Vittorio Caprioli in "Café express" (1980) di Nanni Loy.

                                                                                                 

Tra i ruoli iconici si ricordando quello del poliziotto idealista e coraggioso ne "Il giocattolo" (1979) di Montaldo - che gli valse un primo Nastro d'argento come miglior attore non protagonista -, e quello del "braccio armato" di una banda di ladri di treno in "Café Express" (1980) di Nanni Loy. Ma lavorò anche con Francesco Rosi ("Tre fratelli" che gli valse un secondo Nastro d'argento come miglior attore protagonista), Marco Tullio Giordana ("La caduta degli angeli ribelli") e Marco Bellocchio ("La condanna").


In alto, Vittorio Mezzogiorno in "Tre fratelli" (1981) di Francesco Rosi.
In basso, ne "La condanna" (1991) di Marco Bellochio.


Ruoli complessi, studiati con impegno e immedesimazione totali, tra una pièce teatrale e una apparizione televisiva - dove comparve in numerosissimi sceneggiati. La fama nazionale, tuttavia, arrivò nel 1990, quando venne scelto per il ruolo di Davide Licata, sostituto del celebre commissario Cattani/Placido, nella quinta e nella sesta stagione de "La piovra".


Vittorio Mezzogiorno con Patricia Millardet  ne "La piovra"(1990-1992).


Un personaggio che si guadagnò stima e affetto del pubblico in un momento in cui il nome di Vittorio Mezzogiorno era ormai consacrato alla fama internazionale. Sotto la guida di Peter Brook, infatti, aveva da poco interpretato sul grande schermo l'arciere Arjuna nel "Mahabharata", ispirato al celebre poema epico indiano, che già aveva portato in scena in teatro in una lunga tournée.


Vittorio Mezzogiorno (a destra) ne "Il Mahabharata" (1989) di Peter Brook.

Ma, come già detto, tutto questo non modificò minimamente il suo carattere. Vittorio Mezzogiorno era rimasto un professionista serio, poco sensibile all'autocelebrazione, poco incline ai compromessi ma deciso soltanto a fare bene il proprio mestiere. Seppur fedele alla sua immagine (scenica senza dubbio) di uomo duro e disposto alla lotta. Negli ultimi tempi, infatti, dovette fare i conti con un tumore ai polmoni che, nel luglio 1993, lo costrinse ad una operazione chirurgica. Lui non si arrese, continuò a lottare, festeggiando i suoi cinquantadue anni nel dicembre successivo accanto a sua moglie, l'attrice Cecilia Sacchi, e alla figlia Giovanna, destinata anch'ella ad una lunga e soddisfacente carriera d'attrice. La fine, però, era dietro l'angolo. Il 7 gennaio 1994, un improvviso collasso cardiaco costrinse Vittorio Mezzogiorno a smettere di lottare. Aveva ancora tanti progetti in divenire. Avrebbe sicuramente raccolto ancora consensi e successi e oggi sarebbe qui, con qualche ruga in più sul volto, a festeggiare i suoi ottant'anni. Forse con qualche rimpianto, ma certamente col suo solito rigore: da serio professionista della scena e affascinante antidivo.



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