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I DUE MARESCIALLI: QUANDO LA COMMEDIA FA STORIA

 

"Forse hai ragione tu, in questo caos nessuno di noi è più quello che è veramente". Questa frase, a mio avviso, sintetizza lo spirito di un film che dovrebbe essere comico (e lo è) ma che in realtà cela, dietro gag e situazioni comiche, il dramma di un evento che, storicamente, aveva portato via certezze e punti fermi. Sto parlando de "I due marescialli", film che usciva nelle sale cinematografiche nazionali sessant'anni fa esatti, il 21 dicembre 1961, diretto da Sergio Corbucci e con protagonisti Totò e Vittorio De Sica.


Il maresciallo Cotone (Vittorio De Sica) e Antonio Capurro (Totò) nella scena iniziale del film.

Un maresciallo dei carabinieri (De Sica) e un ladruncolo da quattro soldi (Totò) che si ritrovano l'uno nei panni dell'altro. Siamo alla vigilia dell'8 settembre 1943: Badoglio rompe l'alleanza con i nazisti, il Re fugge a Brindisi e gli Alleati stanno per sbarcare a Salerno, mentre l'esercito tedesco dà inizio alla rappresaglia. In una stazione ferroviaria di provincia, a Scalitto (nella realtà Castel San Pietro Romano), il maresciallo Vittorio Cotone becca un ladro di sua conoscenza, tale Antonio Capurro che, vestito da sacerdote, ha appena rubato una valigia. Un bombardamento Alleato, però, sconvolge i piani di entrambi. Travolti dalle macerie, Capurro riesce a scappare, non prima di aver indossato la divisa del milite e giunge nel paese. Viene però arrestato dal tenente delle SS Kessler e, pur di scampare alla fucilazione (i nazisti, dopo l'8 settembre, assassinarono numerosi militari italiani), decide di collaborare con lui e con il podestà.


Il tenente Kessler (Roland Bartrop), il podestà di Scalitto (Gianni Agus) e Capurro nei panni del maresciallo (Totò).


Cotone, vestito con l'abito talare da Capurro, viene portato, privo di sensi, nella locale parrocchia, punto di appoggio di alcuni antifascisti con cui decide di allearsi. Non appena scopre che un maresciallo dei carabinieri che si spaccia col suo nome sta collaborando con i tedeschi, corre in caserma per capire di chi si tratta. Così si trova davanti Capurro e, dopo un' iniziale titubanza di questi, riesce a convincerlo ad aiutarlo, nascondendo alcuni ricercati dai nazisti. Nel frattempo, gli antifascisti del paese compiono un attentato contro i tedeschi. Il tenente Kessler scopre la complicità del maresciallo, ma per salvarlo gli offre il comando del plotone di esecuzione che ammazzerà i fermati. A questo punto il povero ladruncolo svela la sua identità, dicendo di essere un ladro di galline qualunque. L'ufficiale non ci crede, e si decide a fucilarlo insieme agli insorti. 


Scambio di ruoli: Cotone (De Sica) vestito da prete e Capurro (Totò) da maresciallo.


Nel frattempo, in un clima in cui gli Alleati sono ormai vicini al paese, mentre fascisti (tra cui il podestà) e alcuni nazisti battono ritirata, il povero maresciallo Cotone, quello vero, con la scusa di confessare Capurro si reca in caserma con i paramenti sacri nella speranza di salvargli la vita. Ma non c'è nulla da fare. Capurro chiede perdono al maresciallo, confessandogli che aver indossato la divisa per qualche tempo gli aveva cambiato la vita. Una vita appesa ormai a un filo, visto che il tentativo di Cotone non riesce, e il povero Capurro scompare all'orizzonte su una camionetta nazista, mentre gli Alleati, troppo tardi, marciano in corteo per le strade del paese.

Il finale del film, risale a vent'anni dopo. Il maresciallo Cotone è ormai in pensione, in viaggio con moglie e figlio. Si ritrova nella stazione di Scalitto e ripensa al povero Capurro, morto da eroe e senza la possibilità di riscattarsi. Il maresciallo, infatti, è convinto che se il povero ladro fosse sopravvissuto, non avrebbe mai più rubato. Le sue speranze, però, svaniscono pochi istanti dopo. Poco prima dei titoli di coda, infatti, al maresciallo viene rubata la valigia e a farlo è stato proprio lui, il suo Capurro, vestito da frate domenicano. Segno lampante che la sua vita miracolata, non è cambiata per nulla.



La locandina del film.

Come dicevamo, il film (sceneggiato da Bruno Corbucci e Gianni Grimaldi e sapientemente musicato da Piero Piccioni) è una commedia. Situazioni esilaranti (come la censura della posta compiuta dal falso maresciallo Totò, le battute di De Sica impacciato nei panni del finto sacerdote, i diverbi di Totò col tenente Kessler/Bertrop e con il podestà/Agus) caratterizzano l'intera durata della pellicola. Totò ripropone la macchietta del ladro di galline, disonesto e delinquente per necessità. De Sica quella del maresciallo Carotenuto della serie "Pane, amore e..." (Castel San Pietro Romano, un borgo alle porte della Capitale, è lo stesso paese in cui quei film erano stati girati), anche se in alcuni momenti la sua recitazione rammenta molto di più l'intensità del generale Della Rovere di Rossellini. E infatti, "I due marescialli" riesce ad affrontare entrambi i registri: quello comico e quello drammatico. Sembra una farsa: si ride, si scherza. Ma in realtà, in quel clima di confusione e di paura, ridere era anche l'unica speranza che la gente aveva pur di sopravvivere.

 De Sica e Totò interpretano al meglio la difficoltà di ritrovarsi in una situazione completamente ribaltata. Come Cotone/De Sica dice a Capurro/Totò nella frase citata sopra, nessuno è più quello che era prima che la guerra (l'8 settembre specialmente) rovesciasse tutti gli schemi, ed entrambi immaginano che, quando tutto sarà finito, nulla tornerà più come un tempo. 

Ma la memoria del passato, come la storia ci insegna, non ha valore per tutti. In tal senso è emblematico il finale. Il maresciallo Cotone rimprovera il figlio, adolescente dell'era "beat", che invece di aiutare la madre con i bagagli è tutto preso nell' ascoltare le canzonette al juke-box. Una atteggiamento vergognoso per lui, consapevole dell'orrore vissuto in un passato ancora vivo e indimenticabile. Capurro invece no: salvatosi miracolosamente, ha dimenticato quanto successo tornando tranquillamente alla sua vita. "I due marescialli", dunque, rappresenta un vero esempio di racconto storico (farsesco, certo) dove la comicità lascia volentieri il passo a riflessioni profonde, contando sul pathos recitativo di attori come Totò e De Sica, capaci di passare con naturalezza da battute ironiche a monologhi di grande intensità drammatica.

Rivedere questo film sessant'anni dopo è anche un buon modo per rivalutare l'arte di Sergio Corbucci. Egli, per quanto sia annoverato tra i "padri" del western all'italiana (creò Django/Franco Nero), non è stato mai considerato un grande regista, nonostante molte delle sue pellicole (tra cui altre interpretate da Totò) siano oggi considerati piccoli capolavori. Ebbene credo che "I due marescialli" sia senza dubbio tra le opere migliori di Corbucci, nonché specchio di una mia sicura convinzione: anche la commedia può fare storia.

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