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 FRANCO INTERLENGHI, GLI OCCHI DELLA SPERANZA

 

Chiari e limpidi, come la speranza del Dopoguerra. Quella di un popolo che voleva lasciarsi alle spalle un'epoca buia alla luce di un presente pieno di ottimismo.  Gli occhi di Franco Interlenghi erano lo specchio di quell'Italia lì. La stessa che vedeva il piccolo Pasquale, il giovane "sciuscià" nei cui panni ad appena quindici anni, entrò di diritto nella storia del cinema. Giocava per le vie della sua Roma - dove nacque il 29 ottobre 1931-, quando seppe che a Cinecittà Vittorio De Sica stava cercando bambini per quel piccolo capolavoro che gli sarebbe valso un Oscar.



Franco Interlenghi decise di tentare, e la fortuna lo assistette. Ma quello sguardo così intenso, sono certo, ebbe il suo merito. Era il 1946. Soltanto pochi anni dopo, la sua immagine di bravo ragazzo, magrissimo, bellissimo, scavezzacollo o ingenuo, rubacuori o tenero, ne fece uno dei più bravi attori del nostro cinema. Passò dal neorealismo alla commedia sentimentale, dalla commedia farsesca al dramma, lavorando con i più grandi registi del tempo: Mauro Bolognini, Luciano Emmer, Mario Mattòli, Gianni Franciolini, Federico Fellini (per cui fu uno straordinario Moraldo ne "I vitelloni"). Qualunque personaggio interpretasse, tuttavia, il suo sguardo era sempre quello. Intenso, malinconico, anche sul palcoscenico, dove recitò accanto a Paolo Stoppa e Rina Morelli, ma venne anche diretto da Luchino Visconti. 


In alto, Franco Interlenghi e Rinaldo Smordoni in "Sciuscià" (1946) di Vittorio De Sica.
In basso, con Anna Baldini in "Domenica d'agosto" (1950) di Luciano Emmer.


La sua popolarità crebbe a dismisura ma il cinema non gli regalò soltanto quella. Nel 1950, infatti, sul set di un film ("Canzoni per le strade" di Mario Landi) conobbe la donna della sua vita, un'attrice che spesso divise con lui la scena: Antonella Lualdi. Giovani, belli, brillanti, si sposarono cinque anni dopo e dalla loro unione nacquero le figlie Stella e Antonellina.


Da sinistra, Franco Fabrizi, Franco Interlenghi, Leopoldo Trieste, Riccardo Fellini ed Alberto Sordi ne "I vitelloni" (1952).


Sembrava andare tutto per il meglio, ma un velo di tristezza offuscò i suoi occhi. Dopo anni di assoluto protagonismo, Franco Interlenghi si ritrovò quasi messo da parte. Il cinema sembrò dimenticarsi di lui, affidandogli solamente ruoli di contorno. Accadde così anche in televisione, dove lavorò quasi fino alla fine, partecipando a diversi sceneggiati e a celebri fiction nei primi anni del nuovo millennio.

Intanto il tempo passava. Quel volto pulito si impreziosì con qualche ruga e una candida barba bianca, centuplicando il suo fascino, ma una cosa rimase intatta: il suo sguardo fiducioso e ottimista. Nonostante una brutta malattia che lo segnò profondamente, portandoselo via il 10 settembre 2015, nella sua casa romana.


Franco Interlenghi con la moglie Antonella Lualdi ne "Gli innamorati" (1955) di Mauro Bolognini.


Ad accudirlo, lei, Antonella, il suo grande amore. Quella storia così bella, "da cinema", riuscì a resistere al tempo, alle incomprensioni (vissero separati per alcuni anni) e alle difficoltà della vita di coppia.


Franco Interlenghi in una delle sue ultime foto.


Perché di difficoltà Franco Interlenghi ne incontrò molte. I problemi di salute, le problematiche familiari, un lavoro che gli dava sempre meno soddisfazioni. Ma lui era un ragazzo del Dopoguerra, uno che aveva conosciuto il benessere così come la fame, il successo così come la delusione. La speranza, però, viva fino all'ultimo nel suo sguardo chiaro come un cielo sereno, non la perse mai. 

Ed è attraverso i suoi occhi, consegnati per sempre alla storia cinematografica nazionale, che volevo ricordare Franco Interlenghi nel novantesimo anniversario della sua nascita.


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