NATALIA GINZBURG: PAROLE E MEMORIE
"Ma non si amano soltanto le memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie". Ce lo ha dimostrato, in parole e sentimenti, racconti e romanzi, come "Caro Michele", da cui è tratta questa frase. Natalia Ginzburg ha fatto della memoria il suo tesoro più prezioso. Da custodire nel tempo, con rigore, serietà, ma anche umorismo. Come quello che pervade "Lessico famigliare" - il romanzo con cui vinse il Premio Strega nel 1963 -, in cui racconta gran parte della sua vita. La sua famiglia, laica, intellettuale e borghese, il suo legame con Torino, la sua città - sebbene nacque a Palermo il 14 luglio 1916 -, austera e rigorosa come lei.
Ai ricordi piacevoli, legati alla quotidianità con genitori e fratelli, si mescolano quelli del tempo: il fascismo, la Seconda guerra mondiale, la sua presa di coscienza politica, l'amicizia con intellettuali come Einaudi, Bobbio, Pavese e soprattutto l'amore per Leone Ginzburg, il suo primo marito, con quale condivise sogni e ideali infrantisi nel 1944, quando lui venne massacrato dai nazisti. Memorie piene anche di orrore, di ricordi che si vorrebbero cancellare, ma che fanno parte di noi. Memorie che fanno parte della storia del nostro Paese, della storia di Natalia Ginzburg raccontate pagina dopo pagina, romanzo dopo romanzo ("La famiglia Manzoni", "Le piccole virtù", "La strada che va in città"), fino alla fine, sopraggiunta l'8 ottobre 1991, quando - dopo una lunga malattia - se ne andò via nel sonno, nella sua casa di Roma, dove aveva trascorso più di quarant'anni della sua vita. Una vita piena di ricordi, di sofferenze, di dolori, ma pur sempre memorie. Quelle memorie che amava tanto e che, a trent'anni dalla sua scomparsa, le sopravvivono, insieme alle sue parole.
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