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 ALBERTO TALEGALLI: IL TALENTO DELLA SEMPLICITÀ


  Interpretava quello che nell'Urbe si sarebbe definito un "burino". Ma in un senso molto più nobile del termine, ancora oggi utilizzato in maniera fortemente spregiativa. Tale "maschera" artistica, tuttora frequente al cinema come nelle superstiti (e non eguagliabili ai tempi d'oro) forme di cabaret, sta ad indicare soprattutto una persona che si esprime in maniera volgare, con l'utilizzo del turpiloquio, annessi e connessi. Alberto Talegalli, invece, da questo punto di vista era un "signore". 



Il suo "burino", l'uomo di provincia goffo e bonario venuto dalla campagna in città con la speranza di migliorarsi, era fedele alle origini di quel termine che designava solitamente persone di modesta estrazione e cultura, provenienti soprattutto da zone rurali. Talegalli era umbro, di Spoleto, dove nacque il 2 ottobre 1913. Era figlio di brava gente, onesti artigiani, e lui stesso aveva iniziato a lavorare molto presto, facendo i mestieri più disparati: garzone, falegname, contabile, impiegato, spostandosi dalla città d'origine al capoluogo di provincia, Terni. Alberto Talegalli, però, aveva una passione: recitare. Fin da bambino amava ascoltare le conversazioni dei suoi concittadini: gente semplice, credulona, dotata di quell'innocenza pura che pochi oggi possiedono, ma che nei primi decenni del secolo scorso era comune ricchezza di quelle terre lì. 


In alto, Alberto Talegalli con Fiorenzo Fiorentini ne "Le vacanze del Sor Clemente" (1955).
In basso, con Virgilio Riento in "Café chantant" (1953).


Perdute tra pascoli e botteghe, tra contadini e commercianti, tra lavandaie ed artigiani. Talegalli li osservava, ascoltava le loro beghe, le loro discussioni da bar, annotava le loro espressioni e i loro modi di dire. Il suo sogno era quello di portare in scena la saggezza, la simpatia e l'ingenuità del suo popolo. E proprio come in una favola, ci riuscì. Era il 1954 quando, ad ormai quarant'anni, Alberto Talegalli lasciò "il posto fisso" - anch'esso radicato in quella cultura lì - per entrare a far parte del mondo dello spettacolo. Con "Rosso e nero", la celebre trasmissione radiofonica condotta da Corrado, Talegalli entrò nelle case degli italiani portando tutta la bonarietà della gente spoletina. 


In alto, Alberto Talegalli con Aldo Fabrizi in "Siamo tutti inquilini" (1953) di Mario Mattòli.
In basso, con Totò in "Chi si ferma è perduto" (1960) di Sergio Corbucci.

 


Il Sor Clemente, campagnolo trapiantato in città - ispirato ad un uomo realmente esistito -, che trascorre le sue giornate tra ingenue avventure con l'amico zi' Ngiulino e sonore ed esilaranti discussioni con la collerica e petulante moglie, Gerza, divenne ben presto un idolo di grandi e piccini. A fortificare la sua fama, però, ci pensò il cinema. Talegalli aveva le physique du rôle per fare il comico. Corpulento, con quel nasone grosso sopra i baffoni folti e spioventi, fu protagonista di ben due pellicole incentrate sul suo personaggio: "Le vacanze del Sor Clemente" e "Café chantant", dirette da Camillo Mastrocinque, dove era affiancato da grandi attori della rivista e del cinema, come Virgilio Riento, nei panni di zi' Ngiulino.


Da sinistra, Luigi Pavese, Alberto Lionello e Alberto Talegalli in "Mia nonna poliziotto" (1958) di Steno.


Ma lavorò anche con Totò, Tina Pica, Aldo Fabrizi, Pietro De Vico, in esilaranti commedie dirette da registi come Girolami, Steno, Mattòli e Corbucci, dove Talegalli, seppur in ruoli marginali, riuscì comunque a dominare la scena con la sua personalità e con il suo irresistibile linguaggio. Un linguaggio caratterizzato da un accento marcatamente umbro, fatto di battute sagaci ma mai troppo sopra le righe, in totale assenza di volgarità.

 Il destino, però, ci mise il suo zampino, perché quel successo meritatissimo, osannato anche dalla critica - per quanto circoscritto all'ambito della comicità "dialettale" -, era destinato a sfumare d'un colpo, per un tragico incidente. Era il 10 luglio 1961. Alberto Talegalli era ormai sulla cresta dell'onda. Il suo Sor Clemente era famoso in tutto il Paese, grazie alle sue partecipazioni cinematografiche e televisive ma anche alle sue performance teatrali.

Quel mattino di sessant'anni fa stava proprio rientrando in auto da Faenza, in Romagna, dopo uno spettacolo. Si era subito messo in marcia per Spoleto con due compaesani che lo avevano accompagnato. Alle prime luci dell'alba, però, forse per un colpo di sonno, l'auto su cui viaggiava sbandò scagliandosi contro un muretto in pietra nei pressi di Gualdo Tadino, a non molti chilometri da Spoleto. Talegalli - che non era alla guida - venne scaraventato fuori dall'auto morendo sul colpo. 

Era la fine di una favola, di un sogno bellissimo esauditosi in età matura, quando un uomo di solito smette di crederci. Alberto Talegalli no, lui al suo sogno non ci aveva rinunciato, riuscendo a fare dei pregi e dei difetti della sua gente la propria virtù, costruendosi un personaggio indovinato e geniale, straordinario nella sua purezza. Un personaggio sempre uguale e sempre diverso, incapace di stancare il pubblico. Quel "vasto pubblico che", come diceva, "mi vuol bene" anche se non sono "un grande attore". Umiltà, oltre che semplicità, di un artista che seppe sempre tenere i piedi ben piantati in terra, senza mai atteggiarsi o montarsi la testa. Una vera rarità nel mondo dello spettacolo, oggi come allora. Ma Alberto Talegalli era prima di tutto un uomo semplice, intelligente ed ironico, proprio come il suo Sor Clemente. Espressione di quella genuinità viva e vitale ormai appartenente ad epoche remote. Proprio come il talento di questo piccolo grande interprete del nostro spettacolo che, a sessant'anni dalla sua morte, meriterebbe di essere riscoperto.

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