Passa ai contenuti principali

 ANDREA OGGIONI: SESSANT'ANNI LASSÙ TRA ROCCE SILENTI 


Rimase lassù, ai confini tra cielo e terra, aggrappato a quelle rocce che amava e a cui si abbandonò, stremato dal freddo e dal gelo. Il 16 luglio 1961 Andrea Oggioni lasciò che la montagna lo prendesse con sé, come una madre col proprio figlio. 



Durante una spedizione che costò la vita ad altre tre persone, oltre lui, e che fu una delle più grandi catastrofi alpine del ventesimo secolo. La montagna, però, era per lui una vera madre. Era cresciuto tra le più belle cime della Lombardia, a Villasanta, nel monzese, dove nacque il 20 luglio 1930.

Figlio di contadini, Andrea Oggioni non aveva potuto studiare ma aveva una sensibilità negli occhi che gli permetteva di leggere la realtà più di chiunque altro. Per vivere faceva l'operaio e nei fine settimana saliva in vetta. A godere di quel panorama che aveva sempre amato, arrampicandosi su quelle rocce che, ben presto, lo videro affermarsi come una grande promessa dell'alpinismo italiano, nonostante la sua giovane età, diventando anche "accademico" del CAI (Club Alpino Italiano). Passò dalla Grigna alle Dolomiti, dalle Alpi alle Ande, partecipando a numerose spedizioni, spesso in compagnia di un'altra leggenda dell'alpinismo, oltre che scrittore e giornalista: Walter Bonatti.


Andrea Oggioni (a destra) con Walter Bonatti.


Anche Andrea Oggioni, come lui, amava raccontare le sue esperienze, mettere su carta impressioni ed emozioni. Dal 1948 iniziò a stendere un diario (pubblicato postumo) in cui raccontava le sue imprese, annotando riflessioni e stati d'animo tra speranze, crepacci, chiodi e funi.

In quelle pagine, tutta la passione di un ragazzo che amava la vita e amava viverla "dall'alto", a metà strada tra sogno e realtà. A volte, però, il sogno può anche diventare un incubo, come in quei giorni di luglio di sessant'anni fa, quando Andrea Oggioni, insieme a Bonatti, Roberto Gallieni, e altri quattro alpinisti francesi, decise di scalare il Monte Bianco dalla sua parete più impervia, il Pilastro Centrale del Frêney.

Riuscirono a percorrere metà della parete ma una tempesta improvvisa li bloccò in cordata, senza alcuna possibilità di scendere o salire. Un incubo che durò una settimana, fin quando decisero di scendere, ma non tutti ci riuscirono e Oggioni fu tra questi. Egli rimase lì, inghiottito per sempre da quel silenzio magico e terribile al tempo stesso. "Amava il silenzio della montagna, ora vi è entrato", scriveva Giulio Gabrielli, un altro giovane alpinista scomparso prematuramente, in una sua poesia (Morte dell'alpinista) che forse Andrea Oggioni avrebbe apprezzato. Come aveva sempre apprezzato il silenzio di lassù. Un silenzio sospeso tra spuntoni di roccia e crepacci, tra la vita e la morte, in cui la sua anima si perse per sempre.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...