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 FRANCO VOLPI, GALANTUOMO DEL PALCOSCENICO

 

 Elegante, misurato, discreto. Franco Volpi è stato - in volto ed abiti - l'immagine di quello spettacolo raffinato che, fin dagli anni '30, lo aveva visto emergere per bravura e presenza.

Alto, bello, signorile nei modi, Volpi si appassionò giovanissimo alla recitazione, frequentando l'Accademia dei Filodrammatici di Milano - dove nacque l'11 luglio 1921. Esordì in palcoscenico non ancora maggiorenne nella compagnia di Renzo Ricci, per poi calcare la scena con attrici del calibro di Sarah Ferrati ed Elsa Merlini. 




Dotato di una grande vis recitativa, che gli consentiva di passare con disinvoltura dal comico al drammatico, Franco Volpi riuscì ad affermarsi nel Dopoguerra sia come attore tragico che "brillante". Fece parte della compagnia comica "Za-bum" di Mattòli, recitando con la Magnani, ma fu anche in compagnia con Andreina Pagnani e Ruggero Ruggeri in ruoli di spessore differente.

Importantissimo, poi, il lungo sodalizio con Ernesto Calindri e Lia Zoppelli, con i quali diede gran prova di sé cimentandosi con le opere più celebri di George Bernard Shaw, Sauvajon, Wilde e Verneuil. 


Da sinistra, Ernesto Calindri, Lia Zoppelli e Franco Volpi a teatro in "Affari di Stato" di Verneuil.


Ma con Calindri, gentiluomo della scena quanto lui, ottenne vasta popolarità tra gli anni '50 e '60, dando anima e corpo ad una celebre serie di Carosello in cui interpretavano due galantuomini d'altri tempi - un distinto signore e un ufficiale - che si lamentavano per il degenerare della società perduta tra frivolezze e diavolerie moderne, consolandosi sorseggiando un celebre amaro (China Martini) e ripetendo a se stessi "dura minga, non può durare". 


Da sinistra, Camillo Milli, Franco Volpi ed Ernesto Calindri nel celebre Carosello Martini.


Sul piccolo schermo, inoltre, Franco Volpi ottenne un vasto consenso da parte del pubblico partecipando a numerosi sceneggiati: da "Orgoglio e pregiudizio" (1957) a "Il romanzo di un giovane povero" (1957),  da "La cittadella" (1964) a "Il segno del comando" (1971), in ruoli in grado di metterne sempre in evidenza presenza e bravura.


Franco Volpi (a sinistra) con Ugo Pagliai ne "Il segno del comando" (1971).


Il cinema, invece, non gli offrì molte possibilità, pur prendendo parte saltuariamente a qualche pellicola. Eppure, proprio sul grande schermo, nel 1991, concluse la sua carriera, interpretando il ruolo del Ministro in "Johnny Stecchino" di Benigni. Sei anni dopo, il 1° gennaio 1997, Franco Volpi se ne andò, portato via da un tumore in una clinica romana dove era stato ricoverato.

Non è un caso, e mi piace ripeterlo, che questi grandi interpreti del palcoscenico siano scomparsi alle soglie del nuovo millennio. Calindri, ad esempio, andò via due anni dopo, e molti altri attori, negli stessi anni, lasciarono che il "sipario" si chiudesse definitivamente alle loro spalle.

La stagione d'oro del teatro del novecento, infatti, stava per concludersi. "Dura minga, non può durare": quella celebre frase diventata un modo di dire, forse valeva anche per l'arte del palcoscenico, ma per la memoria no. Quella dura, eccome, ed è per questo che, ad un secolo esatto dalla sua nascita, ritenevo doveroso ridare  lustro ed onore a questo galantuomo del palcoscenico ingiustamente dimenticato.

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