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 GIORGIO DE LULLO, L'ARTE DELLA SOFFERENZA


Un animo sensibile e fragile. Una vita malinconica e a tratti dolorosa, come molti dei suoi personaggi. Giorgio De Lullo portò in scena i propri dissidi interiori come le sue gioie e le sue speranze. La scomparsa del padre, avvenuta quando aveva solo diciassette anni - nacque, a Roma, il 24 aprile 1921 -, seguita non molti anni dopo da quella della madre, a cui si era fortemente legato, forgiò il suo carattere: schivo, riservato, solitario e tendente alla depressione. 



Ma l'amore per l'arte, in qualche modo, permise a Giorgio De Lullo di aprire se stesso, di donare questo suo "essere" al pubblico, fino alla fine dei suoi giorni. Dopo gli studi superiori, si iscrisse all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma ma nel 1945, senza neanche terminare gli studi, era già in palcoscenico (contravvenendo ai regolamenti per gli studenti) all'Eliseo di Roma, diretto da Orazio Costa ne "Il candeliere" di de Musset, accanto ad Andreina Pagnani. Da lì, ebbe inizio la sua carriera d'attore (anche per il cinema, sebbene in maniera saltuaria), che lo vide cimentarsi con Checov, Pirandello, Williams, Dostoevskij diretto non solo da Costa, ma anche da Giorgio Strehler e da Luchino Visconti.


 De Lullo con Andreina Pagnani in scena.


Ma De Lullo, ben presto, si rese conto che la sua rigidità - spesso contestatagli dalla critica -, la fissità del suo volto, erano poco inclini alla recitazione. Infatti, il suo contributo al teatro nazionale fu senza dubbio dovuto alla sua opera di regista, grazie all'incontro di persone speciali che, come lui stesso disse, gli avevano "insegnato ad amare" nel senso più ampio del termine: Romolo Valli, Rossella Falk, Anna Maria Guarnieri ed Elsa Albani.


La "Compagnia dei giovani". Da sinistra, Giorgio De Lullo, Rossela Falk, Romolo Valli ed Elsa Albani.


La "Compagnia dei giovani" fondata del 1955 rappresentò il trampolino di lancio per tutti quei "giovani" attori ed attrici che, nei successivi vent'anni, dominarono la scena artistica nazionale.



Da sinistra, Romolo Valli, Rossella Falk e Carlo Giuffré ne "Il gioco delle parti" di Pirandello, una delle più celebri rivisitazioni di De Lullo.


Giorgio De Lullo diede inizio ad un sodalizio artistico basato sulla complicità con Romolo Valli - suo compagno anche nella vita - e sulla sincronia intellettuale con gli altri membri della compagnia, realizzando opere memorabili come "Il giuoco delle parti", "Sei personaggi in cerca d'autore" e "Così è (se vi pare)" di Pirandello, "Tre sorelle" di Checov, o ancora "D'amore si muore", "Metti, una sera a cena" e "Anima nera" di Giuseppe Patroni Griffi.


La "Compagnia dei giovani" in "Metti, una sera a cena" di Giuseppe Patroni Griffi, altro celebre successo di De Lullo.


"Anima nera" sarà proprio l'ultima opera diretta da De Lullo prima della prematura scomparsa. Va detto che, nell'ultima parte della sua carriera, De Lullo subì un altro duro colpo. Nel 1980, infatti, Valli, la sua metà artistica e sentimentale, morì in un incidente stradale. La Compagnia si sciolse, e Giorgio De Lullo si ritrovò praticamente solo, depresso e con poca voglia di continuare, chiudendosi quasi totalmente in se stesso.

"Anima nera" venne presentata il 22 aprile 1981 al Teatro Parioli di Roma, ma venne sospesa meno di un mese dopo. De Lullo era fisicamente provato dalla sua vita frenetica, tra un teatro e l'altro, tra un paese e l'altro dell'Italia. Il palcoscenico, la sua linfa vitale, si trasformò quasi in una malattia che, probabilmente, acuì le sue già precarie condizioni di salute. Pochi mesi dopo infatti, il 10 luglio 1981, De Lullo morì nella clinica "Valle Giulia" di Roma, a causa di una cirrosi epatica che da tempo lo stava consumando.

Ma la sua "anima", quella, è ancora viva, come lo sono quelle dei "giovani" compagni che hanno fatto la storia del teatro italiano. Perché, ad un secolo esatto dalla sua nascita, Giorgio De Lullo continua ad essere l'artista malinconico in grado di dare tutto se stesso ai personaggi, di donare la sua malinconica esistenza all'allegria della scena. L'artista di una "sofferenza" forse troppo assecondata.

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