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 "BIANCO, ROSSO E VERDONE": L'ITALIA CHE "È"


Un titolo che richiama il Tricolore. Nulla di più azzeccato per una pellicola che faceva il verso al "diritto-dovere" del cittadino italiano. Sullo sfondo dello sciamare verso le sedi elettorali nazionali, però, "Bianco, rosso e Verdone" offre storie di uomini e donne, nonne e nipoti, padri e figli, mogli e mariti, le cui vicende s'intrecciano in una domenica di inizio estate, tra autogrill e piazzole di sosta, trattorie e pensioni di provincia, scendendo lungo lo Stivale da Nord a Sud, dal Piemonte alla Basilicata passando per la Capitale. 



I protagonisti: da sinistra, Furio, Mimmo e Pasquale.


Sono trascorsi quarant'anni dall'uscita di questo meraviglioso film - era il 20 febbraio 1981 - eppure ci viene difficile credere che sia passato così tanto tempo. Carlo Verdone, qui alla seconda opera da regista, ci offre personaggi e situazioni di un'Italia che sembra lontana ma che, forse, non è poi così diversa dalla nostra. Certo l'affluenza alle urne elettorali tale da causare "code" lungo le nostre strade ed autostrade ha subìto un forte calo negli anni. Ma quegli elettori, così speranzosi e indecisi, così ligi al dovere ma, forse, nel profondo poco motivati e presi più dai loro problemi personali, rispecchiano appieno ciò che siamo ancora oggi.

Difatti, la pellicola offre a pretesto l'espediente del voto per mostrare le vicende private dei tre protagonisti e dei relativi comprimari. La trama - sceneggiata da Verdone insieme alle prestigiose "firme" di Piero De Bernardi e Leo Benvenuti - vede l'intrecciarsi di tre storie differenti. Da Torino parte alla volta di Roma il funzionario statale e "socio Aci" Furio Zoccano: logorroico padre di famiglia con a carico due pestiferi figli (Antongiulio e Antonluca) e una moglie-martire, Magda (Irina Sanpiter). 



La locandina del film.


Mimmo, ragazzotto buono ed ingenuo, invece, si reca da Roma a Verona (che confonde sempre con Vicenza) per prendere sua nonna, la popolana e romana verace Teresa, e condurla al voto nella Capitale. Da Monaco di Baviera, poi, parte Pasquale Ametrano, materano emigrato in Germania, diretto nella sua terra d'origine per tener fede alla nazione ed agli "obblighi" nei suoi confronti. Ad accompagnare i nostri nel loro viaggio, tre auto corrispondenti ai tre colori della bandiera italiana: la bianca Fiat 131 panorama della famiglia Zoccano, la rossa Alfa Romeo Alfasud di Pasquale - con tanto di lunga antenna ripiegata ed agganciata al gocciolatoio della carrozzeria, sedili rivestiti di pelliccia e bambolina "oscillante" appesa allo specchietto retrovisore interno - e la verde Fiat 1100 D di Mimmo.



Furio (Verdone) e Magda (Irina Sanpiter).


La storia si svolge tra una domenica ed un lunedì, giornate elettorali, e vede Furio, Mimmo e Pasquale fare i conti con se stessi e le proprie coscienze. Furio rivela, quasi in maniera esasperata, tutti i suoi difetti, tanto da spingere la moglie Magda a mollarlo per il bel Raoul (Angelo Infanti), che incontra ripetutamente lungo l'intero percorso, e che la seduce con sapienti dosi di sguardi, avances ed ammiccamenti. Mimmo, invece, trascorre tutto il tempo nel tentativo di tener a freno l'esuberanza della nonna, tra medicine, siringhe - con "l'ausilio" del camionista "Er principe" (Mario Brega) -, esagerati pasti ipercalorici, "cori cori" al bagno, e alla fine, tra litigi e ripicche, finisce per perderla nella cabina elettorale, quando muore all'improvviso, sotto gli occhi indifferenti del presidente del seggio e degli altri scrutatori, preoccupati soltanto della validità del voto già espresso dalla donna. 



Mimmo (Verdone) e sua nonna Teresa (Elena Fabrizi).


A Pasquale, infine, le cose vanno ancora peggio: contento di tornare in Italia, le sue speranze vengono deluse dal momento che la sua auto viene depredata di tutto (dalla radio alle borchie ai sedili fino ai regali acquistati in autogrill), arrivando ad uno stato di confusione e rabbia tale da mandare a quel paese tutti, in dialetto, inserendo la scheda elettorale nell'apposita urna, un attimo prima dei titoli di coda.



 Pasquale Ametrano (Verdone) poco prima del furto delle borchie.


Ma al di là della bravura di Verdone nel tratteggiare con grande maestria i suoi personaggi, con un trasformismo già ben evidenziato nel precedente "Un sacco bello" (1980), a fare del film una vera "perla" sono i comprimari: innanzitutto Elena Fabrizi, la "Sora Lella", nelle vesti di una affettuosa nonna, un po' preoccupata per il nipote "grande, grosso e fregnone" (che vivrà anche un'esperienza fortemente traumatica, sedotto da una prostituta, interpretata da Milena Vukotic, nella pensione in cui aveva deciso di passare la notte), che le varrà anche un Nastro d'argento come miglior attrice esordiente. Poi Mario Brega, nei panni del camionista "Er principe", la cui mano poteva "esse fero o piuma", impegnato prima nel fare l'iniezione a nonna Teresa in una piazzola di sosta, poi nello sfuggire alla polizia, credendosi responsabile dell'incidente che aveva coinvolto Furio e la sua famiglia. E ancora Angelo Infanti, nei panni di un insolente e affascinante Raoul, invaghitosi di Magda e pronto ad inserirla nel suo carnet di conquiste. 



Da sinistra, Mimmo (Verdone), nonna Teresa (Elena Fabrizi) ed "Er principe" (Mario Brega) nella scena dell'iniezione.


E infine proprio lei, Magda, interpretata magistralmente da Irina Sanpiter: una donna dallo sguardo tanto dolce quanto malinconico, in preda ad un esaurimento nervoso sfogato al grido di "non ce la faccio più", una delle tante battute memorabili. Ma la magia complessiva è garantita dalle bellissime melodie di Ennio Morricone, già autore delle musiche di "Un sacco bello" - entrambi i film, inoltre, vennero prodotti da Sergio Leone.



Magda (Irene Sanpiter) e Raoul (Angelo Infanti) nella scena dell'incidente.


Insomma, un concentrato di malinconica allegria, risate assicurate, battute entrate nella storia e personaggi straordinari che, pian piano, si svelano ai nostri occhi mostrandoci le loro fragilità, per un finale dolce-amaro, tra pianti, risate e moti di rabbia repressa, tra Mimmo rimasto orfano della nonna, Pasquale che non vede l'ora di ritornarsene in Germania, e Furio che, tenendo per mano i bambini, si incammina per le vie di Roma gridando il nome della moglie che, preso coraggio, è scappata pochi minuti prima con Raoul, alla ricerca della felicità.

Questo film mi richiama alla mente tante cose. È sicuramente tra le prime pellicole che ho visto in vita mia, quando ripetevo a memoria intere scene, quasi come un attore professionista. Ebbene, con la gioia del bambino che fui e l'ammirazione del cinefilo che sono adesso, ritenevo opportuno dedicare un mio pensiero su questo vero cult del cinema nazionale. Ne dubito fortemente, ma nel caso ci fosse qualcuno che non lo conoscesse lo invito caldamente ad immergersi nella visione di questo autentico capolavoro: non solo per estraniarsi dalla realtà per un'ora e mezza e ridere di cuore, ma soprattutto per ammirare un'Italia che non c'è più ma che, da un certo punto di vista, non è cambiata per niente.

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