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 LUCIA BOSE', ETERNA RIBELLE


 L'avevo promesso, poco meno di un anno fa. Avevo promesso che per il suo novantesimo compleanno le avrei comunque dedicato ampio spazio. Ed eccomi qua, a tener fede alla promessa fatta a Lucia Bosè il giorno della sua scomparsa, lo scorso 23 marzo, dopo averla adeguatamente salutata con un articolo. Ciò che di lei mi ha sempre colpito non è stata soltanto la bellezza. Quella, dopotutto, era sotto gli occhi di tutti. Ciò che ho sempre apprezzato in lei, invece, è la sua capacità di vivere la vita con leggerezza "che non è superficialità", come diceva qualcuno. 



La Bosè infatti ha saputo raggiungere l'età matura con quello spirito avventuroso e libertario che l'ha sempre contraddistinta fin dalla nascita, avvenuta a Milano il 28 gennaio 1931. "Bella ma povera" - citando altre graziose donne del tempo - Lucia Bosè iniziò a lavorare giovanissima, prima ancora di impiegarsi come commessa nella rinomata pasticceria Galli nella città meneghina. Proprio lì, dietro il banco dei marron glacé, venne notata dal regista Luchino Visconti e da Giorgio De Lullo che le consigliarono di tentare la strada del cinema. Un volto come il suo, dai lineamenti delicati e decisi, dagli occhioni grandi e tristi, sorridente e malinconico allo stesso tempo, era perfetto per quel mondo che, di lì a poco, l'avrebbe accolta a braccia aperte. Ma a mettere in risalto le sue doti fisiche fu la vittoria al concorso di Miss Italia del 1947, dove in finale sconfisse future illustri colleghe come Silvana Mangano, Gina Lollobrigida ed Eleonora Rossi Drago. 



In alto, Lucia Bosè con Raf Vallone in "Non c'è pace tra gli ulivi" (1950) di Giuseppe De Santis.
In basso, con Massimo Girotti in "Cronaca di un amore" (1950) di Michelangelo Antonioni.


La Mangano, tuttavia, le soffiò il ruolo della mondina procace e sfacciata in "Riso amaro" di Giuseppe De Santis, che però - proprio su segnalazione di Visconti - fece debuttare la Bosè soltanto un anno dopo, nel 1950, in un'altra "perla" del cinema neorealista, "Non c'è pace tra gli ulivi" accanto a Raf Vallone. Fu però Michelangelo Antonioni a consacrarla al successo, prima con "Cronaca di un amore" (1950), accanto a Massimo Girotti, e poi con "La signora senza camelie" (1953). 



Lucia Bosè con Zoe Fontana ne "Le ragazze di piazza di Spagna" (1952) di Luciano Emmer.

Da quel momento, furono molteplici le pellicole che videro Lucia Bosè emergere per bellezza e temperamento. Prima fra tutte, "Le ragazze di piazza di Spagna" (1952) di Luciano Emmer, dove interpretava una delle tre sartine - le altre due erano Cosetta Greco e Liliana Bonfatti - perdute tra sogni e aspirazioni, decisa a sfuggire alla miseria e alla povertà della Roma post-bellica raggiungendo il successo come indossatrice. 



Lucia Bosè con Walter Chiari in "Era lei che lo voleva!" (1953) di Marino Girolami e Giorgio Simonelli.


Un po' ciò che accadde a lei, che in quel decennio riuscì a farsi un nome, e non solo in opere drammatiche o sentimentali, ma anche in graziose commedie, spesso affiancando il bel Walter Chiari, innamoratissimo di lei, col quale ebbe una breve relazione. Ma Lucia Bosè, l'abbiamo detto, voleva fare tutto ciò che desiderava dal profondo del cuore, e così, colpita dal fascino e dalla forte personalità del torero Luis Miguel Dominguin - conosciuto mentre girava un film in Spagna - decise di mollare tutto e trasferirsi con lui a Madrid, sposandolo nel 1955. 



Lucia Bosè e Luis Miguel Dominguin.


Alla fine degli anni '50, insomma, la Bosè rinunciò ad una carriera in piena ascesa per amore, dedicandosi totalmente al marito e ai tre figli: Miguel, Lucia e Paola. La sua voglia di autonomia e libertà, però, era sempre pronta ad incalzare ed infatti, stanca dei continui tradimenti di lui, chiese il divorzio e pian piano riprese anche a lavorare. Partecipò a serie televisive spagnole e italiane (la terza stagione della fiction "Capri", nel 2010, suo ultimo lavoro in Italia) e a pellicole di grandi registi come Fellini, Özpetek, Rosi e i Fratelli Taviani. Tutto questo, però, sempre per puro desiderio di farlo.




Lucia Bosè in "Fellini Satyricon" (1969).


D'altra parte, Lucia Bosè non avrebbe mai fatto qualcosa contro la sua volontà. Come quando, d'improvviso, si tinse i capelli di blu accentuando la sua voglia di evasione da schemi e consuetudini, conservata fino alla fine. Come raccontò con sincerità nell'ottobre del 2019 a "Domenica in", intervistata da Mara Venier, presentando la sua autobiografia: specchio di quell'esistenza eccentrica che si sarebbe conclusa soltanto pochi mesi dopo. 




Lucia Bosè in una delle sue ultime foto.


E quella vita che "era lei che la voleva" -  per fare il verso al titolo di una ironica e surreale commediola interpretata con Chiari negli anni '50 - riuscì a farsi valere anche al termine, quando la notizia della sua scomparsa riuscì a trovar spazio tra bollettini e comunicati di una ormai già dilagante pandemia che, nonostante tutto, non riuscì ad offuscare la sua immagine per un ultimo addio. E alla sua effige di donna bella e ribelle, di musa del nostro cinema e di interprete dei più piacevoli desideri (i suoi e quelli di ciascuno di noi) ho voluto restituire lucentezza e splendore, ricordando al mondo intero chi è stata e chi sempre sarà Lucia Bosè: da giovane commessa milanese ad antidiva del cinema.


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