CESCO BASEGGIO, SAGGEZZA DA PALCOSCENICO
Sono trascorsi cinquant'anni esatti dalla sua morte, ma già al tempo Cesco Baseggio appariva come un "mammut" del palcoscenico. La sua figura corpulenta e bonaria, la sua recitazione spontanea e incisiva, erano rimasti ancorati alla tradizione teatrale ottocentesca da cui con grande orgoglio proveniva, e a cui si sentiva legato a filo doppio. Così come alla sua Venezia, la città sua - anche se lui nacque a Treviso, il 13 aprile 1897 -, dei suoi genitori ed anche del suo autore prediletto, Carlo Goldoni.
Francesco "Cesco" Baseggio, infatti, fu uno dei più grandi interpreti del teatro dialettale veneto, quello goldoniano in particolare, ambiente in cui si affacciò ancora giovanissimo, entrando nella compagnia di Gianfranco Giachetti prima dello scoppio della Grande Guerra - che lo vide impegnato al fronte.
Così abbandonò la musica, passione di famiglia - suo padre Arturo era musicista e maestro di violino, e sua madre, Irma Fidora, una cantante lirica -, e si buttò a capofitto in quel mondo così pieno di magia e illusioni, entrando nel 1920 nella compagnia "Ars veneta" e fondandone una propria solo sei anni dopo.
Cesco Baseggio a teatro ne "La putta onorata" di Goldoni. |
Da allora, la sua verve da attore brillante e simpatico fece mostra di sé sui più grandi palcoscenici nazionali, divenendo un apprezzato capocomico soprattutto nella rappresentazioni di opere goldoniane: da "Sior Todaro brontolon" a "Il campiello", da "La putta onorata" a "I rusteghi". Ma si cimentò anche con le opere di un altro veneziano, Giacinto Gallina ("La famegia del santolo"), con qualche "incursione" anche nelle pièce di Shakespeare e Schiller.
Cesco Baseggio nella trasposizione televisiva Rai de "La famegia del santolo" di Gallina (1966). |
Tuttavia, Cesco Baseggio rimase fino alla fine un attore goldoniano e la sua immagine così gioviale fu consegnata alla storia grazie alle edizioni televisive di alcune opere del Goldoni (e non solo) mandate in onda dalla Rai negli anni '60. Inoltre, fin dagli anni '30 Baseggio affiancò al teatro il cinema, sebbene in parti quasi sempre di piccolo spessore, lavorando con importanti attori e celebri registi come Zampa, Mattòli e Matarazzo.
Baseggio al cinema. In alto, con Walter Chiari in "Arrivano i nostri" (1951) di Mario Mattòli. in basso, con Rina Morelli ne "L'intrusa" (1956) di Raffaello Matarazzo. |
Ma lui era soprattutto un "animale da palcoscenico", e di quelli più rari: legati ad una tradizione che, già al tempo, era ormai in declino. Nonostante ciò, Cesco Baseggio riuscì a tener fede alla sua passione fino alla fine, tanto è vero che morì quasi "in scena", a Catania, la sera del 22 gennaio 1971. Era stato chiamato per dirigere "I quattro rusteghi" di Ermanno Wolf-Ferrari al Teatro Massimo Bellini. Purtroppo, però, l'aggravarsi delle sue condizioni di salute lo costrinsero a ricoverarsi in una clinica, dove se ne andò per un attacco d'asma che gli fu fatale.
Cadde così il sipario su di un arte tanto tradizionale quanto passionale, fatta del realismo e della comicità così cari al Goldoni, ma anche della saggezza e dell'esperienza scenica di un grande interprete quale Cesco Baseggio è stato e resterà.
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