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 FRANCO SPORTELLI, UN "ANIMALETTO" DA PALCOSCENICO


 "Vincenzo m'è padre a me!", cantilenava Peppeniello, per convincere il suo datore di lavoro ("Il cuoco") che suo padre fosse il maggiordomo e non lo scrivano Felice Sciosciammocca. Stiamo parlando, ovviamente, della trasposizione cinematografica della celebre commedia scarpettiana "Miseria e nobiltà", diretta da Mario Mattòli ed interpretata da Totò e Sophia Loren. Ma in quel film, a vestire i panni del maggiordomo dal cuore tenero Vincenzo, c'era un attore a cui, forse, la memoria storica ha dedicato poco spazio. 



Eppure sono convinto che la sagoma di Franco Sportelli la ricordano in molti. Piccolo di statura, dagli occhi vispi e l'aria furbesca, ha preso parte a numerose pellicole e a diversi sceneggiati tv, ma la sua fama - almeno tra la critica - è legata soprattutto al palcoscenico. Proprio su quelle assi di legno, nella sua Napoli - città in cui nacque il 27 novembre 1908 - cominciò a muovere i primi passi. La sua era una illustre famiglia di artisti e Franco Sportelli si ritrovò ben presto a calcare le quinte dei teatri della città. 



Franco Sportelli con Franco Melidoni in "Miseria e nobiltà" (1954).

Dotato di una grande vis comica e di una notevole frenesia recitativa, divenne celebre nella caratterizzazione di figure popolari partenopee, raccogliendo i primi consensi proprio nel teatro dialettale e nell'avanspettacolo. Inutile dirlo, lavorò anche con Eduardo De Filippo, con cui alla fine degli anni '50 debuttò in "La fortuna in cerca di tasche", oltre a partecipare a commedie più note, come "Il medico dei pazzi" e "Natale in casa Cupiello". 


Da sinistra, Franco Sportelli, Narcisa Bonati e Maria Grazia Antonini in 
"Schweyk nella seconda guerra mondiale" (1961).


Ma Sportelli ampliò di molto i propri orizzonti e, con medesima soddisfazione, affrontò anche un tipo di teatro differente, cimentandosi con Brecht ("Schweyk nella seconda guerra mondiale") e Salacrou ("Le notti dell'ira") diretto da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano. E indiscutibile, però, sottolineare come la sua popolarità - per quanto effimera - sia legata soprattutto al cinema e alla televisione.



In alto, Franco Sportelli ne "Le quattro giornate di Napoli" (1962).
In basso, Sportelli e Totò in "Totò e Cleopatra" (1963).


Sul grande schermo arrivò negli anni '50, e venne utilizzato soprattutto come caratterista, diretto da registi come Mattòli, Bragaglia e Mastrocinque. Pochi i ruoli davvero significativi, ma accanto a quello di "Miseria e nobiltà" sicuramente lodevole è la sua interpretazione, ancora insieme al Principe De Curtis, nella parodia-peplum "Totò e Cleopatra" (1963) di Fernando Cerchio, in cui è Enobarbo, il luogotenente di Marco Antonio/Totò che arriva a tradirlo perché invaghitosi della subdola Cleopatra (Magali Noël). Ma significativo anche il ruolo del professor Rosati ne "Le quattro giornate di Napoli" (1962) di Nanni Loy.



Franco Sportelli e Pietro De Vico in un "Carosello" Doria.


In televisione, invece, prese parte ad alcuni "Carosello" (in coppia con un altro grande attore partenopeo, Pietro De Vico) e in diversi sceneggiati, come "Scaramouche"  di Daniele D'Anza e "Il cappello del prete" di Sandro Bolchi, andato in onda non molti mesi prima della sua scomparsa, avvenuta a Torino - città in cui viveva da tempo e sede dei suoi ultimi successi teatrali - il 10 dicembre 1970. 



Antonio Casagrande e Franco Sportelli ne "Il cappello del prete".


Per quanto venne definito "il sosia di Renato Rascel" - per via della grande somiglianza fisica oltre che istrionica -, non si può certo dire che questo "animaletto" da palcoscenico, vivace ed espressivo, sia altrettanto ricordato. Ragion per cui, a cinquant'anni dalla sua morte, ritenevo giusto onorare Franco Sportelli con questo piccolo omaggio. Piccolo, certo, ma significativo. Proprio come il suo contributo dato allo spettacolo e all'arte nazionale.


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