Passa ai contenuti principali

JEAN-LOUIS TRINTIGNANT, NOVANT'ANNI DI UN "BRAVO RAGAZZO"


Nonostante l'età - ha raggiunto la novantina due giorni fa -, un cancro e i drammi vissuti (come la tragica morte della figlia Marie), appare sempre quel giovane di un tempo.




 I suoi occhi, limpidi e malinconici, il suo sorriso ingenuo, sembrano tratti da una istantanea de "Il sorpasso" di Dino Risi: il capolavoro della commedia all'italiana in cui era Roberto Mariani, il timido studente trasportato dalla foga e dal fascino del fanfarone Bruno Cortona/Gassman in un viaggio folle lungo la consolare Aurelia in pieno "Miracolo Economico".

Quel ruolo, probabilmente, gli rimase cucito addosso, forse perché lo ha in qualche modo rappresentato. A dispetto di una carriera coronata di successi, Jean-Louis Trintignant è rimasto un ragazzo gentile e sorridente, schivo, non troppo amante dell'apparire. 



In alto, Jean-Louis Trintignant con Eleonora Rossi Drago in "Estate violenta" (1959). In basso, con Vittorio Gassman ne "Il sorpasso" (1962).



Eppure, di "apparizioni" nella sua lunga carriera ne ha fatte molte e non solo in Francia, la sua patria, ma in particolar modo da noi in Italia, dove per vent'anni ha lavorato con i più grandi registi: dal sopracitato Risi a Mauro Morassi ("Il successo"), da Pasquale Festa Campanile ("La matriarca") a Giuseppe Patroni Griffi ("Metti, una sera a cena"), da Bernardo Bertolucci ("Il conformista") a Luigi Comencini ("La donna della domenica") fino a Ettore Scola ("La terrazza"). 



Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée in "Un uomo, una donna" (1966).


Forse i suoi ruoli più conosciuti ed amati, al pari di un successo internazionale che fu il suo trampolino di lancio: "Un uomo, una donna" di Claude Lelouch, accanto ad Anouk Aiméé. L'incontro di due cuori solitari travolti da una forte passione, forse troppo grande da sopportare. 



In alto, Trintignant con Catherine Spaak ne "La matriarca" (1968).
In basso, con Milena Vukotic ne "La terrazza" (1980).


Una pellicola in cui Jean-Louis Trintignant sfodera tutto il suo charme e la sua bravura, ma anche quella malinconia di fondo che pervade un po' tutti i suoi personaggi. Forse proprio la caratteristica che abbiamo più amato di lui: quella  "felicità di essere tristi" che - a mio avviso - ha raggiunto l'apice nell'ultimo capitolo della trilogia di Lelouch (il secondo fu "Un uomo, una donna oggi" del 1986): "I migliori anni della nostra vita", la sua ultima pellicola, in cui i due protagonisti, ormai anziani, si ritrovano dopo cinquantatré anni dal loro primo incontro e riscoprono che quel sentimento autentico che li legava è ancora vivo, e forse può ancora regalargli tanto.



Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée ne "I migliori anni della nostra vita" (2019).


E probabilmente, in quella sceneggiatura portata sul grande schermo un anno fa, Jean-Louis Trintignant ha creduto davvero. Perché nonostante avesse deciso di ritirarsi dalle scene nel 2018, per via della sua salute ormai compromessa, l'anno successivo è tornato ancora in teatro a recitare Prévert, ed è riapparso al cinema con quella pellicola così piena d'amore, vita, speranza e nostalgia. Dopotutto, nonostante i momenti bui, soprattutto la tragica morte della figlia Marie, attrice anch'ella, uccisa dal compagno (il cantante Bertrand Cantat) nel 2003, Trintignant ha deciso di continuare a "vivere" (come riporta il titolo di una sua biografia uscita qualche anno fa) e forse anche di regalarci ancora qualche bella emozione. 

Il sopracitato "I migliori anni della nostra vita" si apre, nei titoli di testa, con una frase di Hugo: "Gli anni più belli della vita sono quelli che non abbiamo ancora vissuto". Ebbene, mi auguro che sia così anche per quel "bravo ragazzo" che, da umile ammiratore, ho deciso di omaggiare quest'oggi.


P.S.: Scrivo soltanto adesso questo articolo poiché ho sempre saputo che il suo compleanno fosse l'11 dicembre. Da alcune fonti ho appreso che è nato il 9, ma avendo scoperto ciò solo ieri sera ecco che il mio omaggio cade in data odierna.



Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...